Ci mancavano solo i Cecchettignez. Nell’Italia che non si fa mancare niente, i cassamortari devono aggiornarsi in fretta perché una figura essenziale di fronte alla morte di una giovane donna assassinata da un ragazzo che diceva di amarla non è più il prete, ma l’agente letterario. E come sempre i primi a capire che il mondo cambia, e cambia in peggio, sono stati i soliti inglesi, al secolo l’agenzia di mister Andrew Nurnberg, che hanno messo sotto contratto il padre simbolo dei femminicidi, Gino Cecchettin, il quale sepolta sua figlia Giulia, e prima ancora che cominci il processo al suo omicida Filippo Turetta, a cui auguro (speranza che resterà vana) un ergastolo con i fiocchi, ha messo i ferri in acqua per libro, fiction e, se le cose andranno bene, perfino una Fondazione.
Non lo chiamo business della morte solo per non agitare gli haters, che sul web stanno già scaldando i polpastrelli per darmi del fascista. Ma alla luce della nuova vita di un papà sulle spoglie di sua figlia, la definizione da Treccani cadrebbe poco lontano da qui.
C’è già un popolo cecchettiniano che annusa fama e politica intorno a un lutto che ha fermato, per pochi giorni a dire la verità, ma per un tempo superiore al solito, le coscienze inquiete del nostro Paese scalcagnato.
Ma forse è proprio questo epilogo alla Harry Potter, mancano solo il merchandising e i videogiochi sul caso di Giulia, che ci mostra le ragioni della nostra cultura occidentale in crisi di identità e di priorità. Un po’ come una Ferragni influencer dei lutti, che sceglie di pubblicizzare la beneficenza e si dimentica di farla, ci troviamo di fronte a un padre che prepara a tavolino la passerella hollywoodiana nel nome di sua figlia prima ancora di sapere se riusciremo almeno a mettere in galera il suo assassino.
Non mi stupisce affatto e, da italiano che non fa le corna, non tocca ferro, passa anche sotto le scale, gli auguro almeno di avere successo. Anche se l’effetto Pandoro c’è già. E dipende dal fatto che nel mondo normale i padri piangono i figli che muoiono e non diventano degli eroi. Ma solo dei padri più forti. E questo per un principio molto semplice della democrazia. Può capitare un omicidio, drammatico ed efferato come quello che ha visto Gino perdere prima la moglie e poi la figlia Giulia. E può capitare anche che il signor Gino in questione dica qualcosa di profondo e toccante per il Paese dopo la morte dei suoi congiunti, ma resta il fatto che nel mondo reale non necessariamente gli assassini colpiscono a casa di Martin Luther King, non sempre gli omicidi cadono dentro la vita di scrittori, registi, mecenati.
Ma in fondo gli indizi di un’Italia a rovescio ce li abbiamo tutti in prima pagina. Noi siamo quelli che il burqa sì, perché è cultura, ma il presepio no perché è sub cultura. Noi siamo quelli che il premierato no, perché non decide il Parlamento, ma il Mes sì anche se l’ha bocciato quello stesso Parlamento. Non si capisce perché non dovremmo trasformare un funerale in una serie Tv e il patriarcato nel nostro nuovo pandoro Balocco.