Difficile da immaginare anche soltanto un anno fa, la vittoria di Javier Milei alle elezioni presidenziali argentine ha spiazzato la maggior parte dei commentatori, a disagio di fronte a categorie e proposte tanto nuove. È significativo come la stampa mainstream – e non solo in Italia – lo abbia accostato a Donald Trump, senza comprendere l’autentico contenuto rivoluzionario delle tesi sostenute dall’economista di Buenos Aires. Chi e cosa c’è, infatti, dietro al leader del movimento La Libertad Avanza, che in campagna elettorale brandiva una motosega a simboleggiare la necessità di eliminare larga parte degli aiuti pubblici alle imprese e dell’apparato burocratico di Stato? Milei è un libertario e a più riprese ha affermato la necessità di restaurare molte libertà perdute, a causa della regolazione pubblica e del prelievo fiscale. Economista con un background convenzionale, negli scorsi anni s’è convertito sulla via di Damasco quando ha letto un corposo volume di Murray Rothbard, Man, Economy, and State, e in particolare il decimo capitolo (sulla questione del monopolio) che più di mezzo secolo fa aveva affascinato anche Bruno Leoni. Si definisce anarcocapitalista nel lungo periodo (persuaso, insomma, che lo Stato sia illegittimo) e minarchico nel breve; e infatti il suo programma punta ad abolire un gran numero di ministeri e a ridurre sensibilmente la spesa pubblica.
Oltre a Rothbard, quindi, i suoi autori di riferimento sono Ludwig von Mises, Milton Friedman, Friedrich von Hayek e le altri grandi figure del liberalismo novecentesco. Si tratta di studiosi scomparsi da decenni. Tra i viventi, il principale punto di riferimento di Milei è un colto, cattolico e ricchissimo studioso di Madrid, Jesús Huerta de Soto, che nel mondo di lingua spagnola è senza dubbio il migliore interprete della teoria austriaca e libertaria contemporanea. Quando nel 2021, impegnato in una lezione di economia a Madrid, Milei vide entrare in aula quello che ormai considerava il suo idolo la commozione fu autentica, com’è attestato da un video. Non a caso l’informazione spagnola ha ormai acceso i riflettori su questo professore, presentato come il guru di Milei e l’autentico ispiratore dei programmi economici più sovversivi del neo-presidente che si è da pochi giorni insediato alla Casa Rosada.
A ben pensarci siamo di fronte a una mirabile congiunzione astrale: proprio nel momento in cui il Paese sudamericano sta vivendo le più disastrose conseguenze economiche e sociali di un’inflazione spropositata e fuori controllo (intorno al 140 per cento), la cosiddetta stanza dei bottoni potrebbe essere affidata a quegli studiosi che con più determinazione hanno difeso la stabilità valutaria e avversato la manipolazione dei tassi d’interesse operata dalle banche centrali.
Da libertario, Milei si propone di liberalizzare il sistema monetario, anche sulla scorta della lezione di Hayek, che nel 1976 parlò di «denazionalizzare» la moneta. Nel breve periodo, però, il suo progetto prevede la presa d’atto di quanto è già avvenuto, anche se i politici argentini finora hanno evitato di ammetterlo: ossia, la dollarizzazione dell’economia. Bisogna aver presente che già oggi il cambio ufficiale (fissato dalla banca centrale) è 365 pesos per un dollaro, mentre al mercato nero – che è il mercato vero – il dollaro ha già superato i mille pesos. La via è stata tracciata dai fatti, insomma, e già il gruppo di economisti austriaci di Madrid (oltre a Huerta de Soto un altro studioso molto apprezzato è Philipp Bagus) sta suggerendo al nuovo presidente una serie di accorgimenti che accompagnino l’adozione di una moneta forte: a partire dalla necessità di una copertura al 100 per cento dei depositi, in modo tale che il risparmiatore possa in ogni momento poter ritirare quanto ha depositato.
Se Milei guarda all’economista spagnolo come al suo maestro, qual è il giudizio del secondo su questo fenomeno politico largamente imprevisto e imprevedibile? Huerta de Soto s’è detto entusiasta del cambiamento politico argentino, che potrebbe buttare nella spazzatura della storia quasi un secolo di peronismo e demagogia socialista. Egli ha affermato senza mezzi termini che quanto è successo a Buenos Aires «dimostra che alla fine le idee della libertà prevalgono sullo statalismo di sinistra o di destra». In rete è anche disponibile un filmato in cui il cattedratico madrileno risponde a una precisa domanda sul neo-presidente argentino posta da uno studente. Anche in questo caso le parole sono nette: Milei è un economista suo allievo, molto ferrato nelle questioni di teoria economica e per nulla assimilabile all’estrema destra e a personaggi come Bolsonaro o Trump. Si tratta di un difensore del libero mercato, che crede nel primato della libertà individuale e vuole costruire su queste basi morali la stessa rinascita economica del Paese latinoamericano. Se certo appare bizzarro nelle sue esternazioni pubbliche, questo si deve per il 50 per cento alla necessaria teatralità di chi fa politica, e per l’altro 50 alla sua mancanza di pazienza di fronte alle sciocchezze che dominano il dibattito pubblico. Tra i due, insomma, la stima è reciproca. Ora si tratta di capire come funzionerà questa strana coppia formata dal raffinato economista e dall’impetuoso rivoluzionario. La speranza è che l’allievo abbia appreso bene la lezione e sappia tradurre in concrete azioni politiche la migliore teoria libertaria. L’Argentina ne avrebbe soltanto da guadagnare.