La conferenza stampa di fine anno sarà l’occasione per il premier Giorgia Meloni di fare un primo bilancio del suo operato di governo. Anche i giallorossi si troveranno inevitabilmente a dover fare i conti di quest’anno di opposizione, caratterizzato perlopiù dagli insulti che dalle proposte.
Basti pensare all’ultimo episodio: il caso Pozzolo è stato il pretesto per accusare tutto il centrodestra di voler trasformare l’Italia in un far west. «Eccola qui, la destra pistolera cialtrona che blatera di armi libere. Una destra a mano armata che si riempie la bocca di sicurezza e poi si presenta alle feste di Capodanno, tira fuori la pistola senza motivo e viene ferito per sbaglio il parente di un agente della scorta di Delmastro, sottosegretario del loro stesso governo», ha scritto sui social il segretario di Più Europa, Riccardo Magi che, poi, ha invitato «Giorgia Meloni e il suo partito di pistoleri della domenica» a smetterla di promuovere la «cultura delle armi». Ma gli insulti sono cominciati ancor prima che nascesse questo governo con l’accusa di voler trasformare l’Italia nell’Ungheria di Orbàn e con l’allarme di un ritorno del fascismo evocato a più riprese. Laura Boldrini, a poco più di una settimana dal suo insediamento, ospite di Piazza Pulita, dichiara: «Anch’io penso che la Meloni non sia fascista, ma Giorgia Meloni si ancora a un pensiero che trae origine da quella dottrina». Qualche mese dopo, parlando sempre dallo studio del programma condotto da Corrado Formigli, l’ex presidente della Camera definisce la destra di Giorgia Meloni «reazionaria, oscurantista e non liberale». Il tema dei diritti civili, si sa, infiamma sempre il dibattito e, in prima fila, non può mancare il deputato dem Alessandro Zan che il 15 maggio scorso ha sentenziato: «La maggioranza che governa questo Paese è omofoba. È una destra che usa i diritti civili come oggetto di scontro politico, che sta attivando campagne di odio nei confronti di comunità Lgbtq+». Questa estate, poi, è andata in voga l’accusa di «deriva autoritaria» del governo e, in questo caso, a tirarla in ballo è stato niente meno che il padre nobile del centrosinistra, Romano Prodi. «Caro direttore, per avere una conferma della mia preoccupazione, espressa sul suo giornale, sull’aumento di autoritarismo del governo, è bastato un solo giorno. Il braccio di ferro per limitare il ruolo della Corte dei Conti ne è un’ulteriore prova. Molto cordialmente», scrive l’ex premier in una lettera indirizzata al direttore de La Stampa e pubblicata con un titolo inequivocabile: «Destra autoritaria, ora è tutto chiaro». Anche i temi economici hanno surriscaldato il clima politico. «Meloni mani di forbice, fa la guerra ai poveri», ha detto questa estate il verde Angelo Bonelli, parlando del salario minimo. Non sono esenti dagli insulti, ovviamente, neppure i Cinquestelle. «Siamo davanti ad una manovra blindata che mortifica il Parlamento, lo manda in soffitta evocando un provvedimento del Ventennio, precisamente del 1925, che disponeva il consenso del governo per porre in votazione gli emendamenti di spesa», ha dichiarato recentemente Francesco Silvestri, capogruppo dei pentastellati alla Camera.