Il giallo delle versioni sullo sparo al veglione

Un onorevole non può trovare alibi nel silenzio

Prende forma un po’ per volta, la verità su quanto accaduto la notte di Capodanno alla fine del veglione col sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro. Nulla che possa migliorare granché la reputazione di Emanuele Pozzolo, il deputato di Fratelli d’Italia finito al centro della vicenda: comunque siano andate le cose, la scelta sciagurata di presentarsi alla festa con un’arma lo rende comunque il responsabile unico di quanto accaduto. Se la piccola North American calibro 22 fosse rimasta dove doveva stare, chiusa in un cassetto a casa di Pozzolo, oggi l’elettricista Luca Campana non si troverebbe con la coscia bucata da una pallottola. Ma è possibile che sul piano processuale gli accertamenti della Procura di Biella alleggeriscano, almeno in parte, la posizione del deputato FdI.

Incrociando le testimonianze dei presenti – spesso confuse e contraddittorie, come accade in questi casi – lo scenario che appare il più probabile è quello per cui al momento dello sparo l’arma non era in mano a Pozzolo ma a proprio a Campana, il genero del caposcorta di Delmastro che insieme ad altri parenti della pattuglia di agenti penitenziari aveva chiesto di partecipare alla festa nella sede della Pro Loco di Rosazza. In sintesi: dopo gli ultimi brindisi, prima di congedarsi, il deputato mostra la pistola a un gruppo dei partecipanti; l’arma cade a terra; Campana la raccoglie e in quel momento parte il colpo che lo raggiunge alla coscia.

Si tratta della versione che lo stesso Pozzolo ha fornito durante le sette ore del suo interrogatorio, che ovviamente potrebbe essere una versione interessata, e che – secondo quanto riportato ieri da Repubblica – sbatte contro il racconto di Campana («non ho mai toccato la pistola», avrebbe detto al suo avvocato) ma che coincide con il racconto che è stato fatto nella immediatezza dei fatti a Andrea Delmastro, che al momento dello sparo era fuori dal locale. Quando il sottosegretario alla Giustizia è rientrato e si è trovato davanti alla drammatica scena di Campana steso al suolo, gli è stato riferito proprio che la pistola era caduta senza conseguenze, e che solo al momento di raccoglierla era partito un colpo. E d’altronde anche l’unica dichiarazione resa da Pozzolo a un cronista nell’immediatezza dei fatti («è stato un incidente, non sono stato io a sparare») coincide con questa ricostruzione. Saranno ora due accertamenti tecnici a dire quale sia la versione corretta: l’esame medico legale sulla ferita, che potrebbe individuare la traiettoria del proiettile; e il tampone stub effettuato dai carabinieri a carico del deputato, alla ricerca di residui di polvere da sparo.

Anche se il suo racconto venisse confermato, la leggerezza del comportamento di Pozzolo resta inaccettabile. Anche perché, come emerso nelle scorse ore, il parlamentare meloniano è un vero appassionato di armi: oltre alla calibro 22 protagonista del fattaccio di Capodanno, possiede altre sei pistole, tutte regolarmente denunciate e utilizzate per «difesa personale». La prima è stata sequestrata in diretta dai carabinieri come prova del reato, per le altre il prefetto di Vercelli – la città dove Pozzolo ha la sua vera residenza – ha avviato la procedura di sequestro, dopo che il prefetto di Biella ha revocato il porto d’armi al deputato. Pozzolo aveva dunque una dimestichezza con le armi che rende ancora più assurda la scelta di presentarsi a una festa con una pistola carica e senza sicura. E anche se si accertasse che Campana si è sparato da solo, l’accusa di lesioni colpose al deputato potrebbe restare in piedi: perché la colpa, comunque, è tutta sua.

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