Toby Dammit sfreccia con un’andatura sconsiderata sul selciato che si infila verso i Castelli Romani. Non frena la sua corsa perché è in preda ad una colossale sbornia e la testa pare un valzer viennese fuori tempo. Naturale che finisca per schiantarsi. Dritto contro una fontana. Dal cofano del suo bolide si leva una timida colonna di fumo. Un delitto ammaccare un esemplare simile: Terence Stamp, l’attore che interpreta il personaggio nato dalla fervida immaginazione di Federico Fellini – il film è “Tre passi nel delirio” (1968) – è in sella ad un esemplare unico di Ferrari Spyder 330 LM. Il colore è quello dell’oro. La carrozzeria è Fantuzzi.
Tutto pilotato, dunque. La vettura doveva incidentarsi per esigenze filmiche e il proprietario, il futuro urbanista Massimo Chiappini, la presta senza particolari patemi. Consegna le chiavi alla casa cinematografica Lombardi, con la rassicurazione che subito dopo le riprese la macchina verrà portata in un’officina Ferrari ai Parioli, per essere aggiustata.
Doverosa premessa. La Ferrari 330 LM nasce nei primi anni Sessanta come berlinetta da competizione. Monta un motore V12 da quattro litri, progettato da Gioachino Colombo, e sfoggia una cilindrata da 3967.44 centimetri cubici. Lanciata a pedale affondato tocca i 280 km/h. A Le Mans, dove venne principalmente utilizzata, sfiatava dai sei carburatori di marca Weber, scivolando sopra sospensioni a molle elicoidali. La trasmissione era manuale, con un cambio a quattro rapporti più la retromarcia. Fu l’ultima Ferrari a montare il motore in posizione anteriore.
Quella usata nella pellicola felliniana, si diceva, era pure dorata. Roba da collezionisti. Roba che oggi sforerebbe il valore del milione di euro. Il condizionale è d’obbligo per un motivo validissimo. La macchina non si trova più. Vaporizzata dopo le riprese. Chiappini, oggi professionista di fama mondiale, ammette di non essersi più occupato a lungo del bolide. Ma una volta tornato in Italia da un viaggio di lavoro, scopre che la vettura è dispersa. E che quell’officina non esiste più. Tra le mani può stringere soltanto il documento che ne attesta la proprietà e che recita quella targa dal sapore vintage: Roma 697220.
Il passo successivo, tutt’ora in corso a distanza di mezzo secolo, è quello di affidarsi ad un legale esperto della materia. Chiappini sceglie Francesco Turco e parte così la strenua ricerca dell’esemplare, basata su un rilievo inoppugnabile: il telaio non mente. Dalle prime ipotesi, pare che la Ferrari sparita si trovi in un museo di Los Angeles, ma la battaglia per dimostrarlo si preannuncia intricata. Chissà che effetto farebbe salirci in sella dopo tutto questo tempo.