Se non avete visto il film su Giorgio Gaber di Riccardo Milani andato in onda lunedì sera su Raitre a vent’anni dalla sua scomparsa, andate a recuperarlo su RaiPlay. Un magnifico documentario (passato prima al cinema) che ripercorre vita e carriera di un uomo e un artista che ha sempre cercato la verità, senza essere schiavo delle ideologie e delle mode. Con tantissime immagini preziose e racconti interessanti dei familiari (in primo luogo la figlia Dalia Gaberscik), delle persone che lo hanno conosciuto e che hanno lavorato con lui, il regista ci ricorda l’aspetto fondamentale dell’artista: sapeva indignarsi. Ha sempre detto le cose quand’era il momento di dirle, con rabbia, ma mai con violenza, con un urlo che era passione civile. Girato tra Milano e Viareggio, nei luoghi della sua vita, Io, noi e Gaber è un viaggio che rapisce e fa riflettere. Se è permesso fare un appunto: andrebbero messi i sottopancia agli intervistati. Certo è concepito come un film, ma alla fine è un docufilm e non si può presupporre che tutto il pubblico sappia chi sta parlando, a parte i famosissimi. Anzi, è fastidioso per uno spettatore sentirsi ignorante, o semplicemente doversi sforzare a capire o ricordare: la cultura deve essere alla portata di tutti, come ci insegnava Gaber stesso. Anche di chi magari per la prima volta sente parlare di lui.
Fra i tanti interpellati per ricordarlo ci sono Paolo Jannacci, Lorenzo, Roberto e Sandro Luporini, Ricky Gianco, Mercedes Martini, Paolo Dal Bon, Mario Capanna. E poi Jovanotti, Fazio, Mollica, Morandi, Mogol, Gino e Michele, Fossati, Massimo Bernardini.