Il vero specchio dell’Italia. Pluralismo negato incluso

Il vero specchio dell'Italia. Pluralismo negato incluso

Quando, il 3 gennaio 1954, iniziarono le trasmissioni ufficiali della Rai, in bianco e nero, la televisione italiana, dietro alle quinte, aveva già una lunga storia che affondava le radici nel fascismo. Nel 1944, la Rai era sorta dalle ceneri dell’Eiar. L’Ente era stato sotto il controllo del Ministero della Stampa e Propaganda del governo Mussolini.

Cosa abbia significato la televisione per l’Italia repubblicana è stato detto e ripetuto innumerevoli volte: ha contribuito in misura incalcolabile alla alfabetizzazione e alla diffusione della lingua italiana. Del resto, la missione didattica era nel Dna della Rai, dal nozionismo di Rischiatutto alle lezioni di grammatica del maestro Manzi. Ma presto la Rai iniziò a essere un’incubatrice di talenti, da Ugo Tognazzi a Giorgio Gaber, da Mina a Enzo Jannacci, da RenzoArbore a Raffaella Carrà e ciascuno aggiunga a piacere.

Attraverso gli occhi della Rai, abbiamo visto i fatti che hanno segnato la storia del nostro Paese e del mondo intero. Momenti tragici quali la morte di Aldo Moro o l’attentato al Papa ma anche istanti di pura gioia come la vittoria ai Mondiali di calcio del 1982.

La Rai è stata ed è ancora lo specchio dell’Italia. Un Paese uscito distrutto e umiliato dalla Seconda guerra mondiale ma desideroso di uscire dalla miseria. Un Paese in pieno boom economico; in balia del terrore rosso e nero; capace di resistere al terrorismo ed entrare nella modernità; attonito di fronte a una rivoluzione per via giudiziaria; sorpreso dalla ascesa di Silvio Berlusconi; zittito dalla pandemia; e ora in lotta contro se stesso per eliminare quei difetti strutturali che impediscono il decollo nell’economia globale. Per ognuno di queste fasi, viene alla mente un momento di televisione di Stato, dal contratto con gli italiani di Berlusconi al cupo ma grottesco bollettino quotidiano della pandemia. Nel frattempo era nata, e cresceva, la televisione privata che, senza poter contare sul canone come la Rai, andava a conquistarsi ogni singolo spettatore con programmi innovativi e meno ingessati di quelli della Tv di Stato.

In un’altra cosa fondamentale, la Rai è stata specchio dell’Italia: il potere crescente dei partiti si riflette nella struttura stessa dell’azienda divisa in tre canali, uno per ogni parte politica di rilievo (Democrazia cristiana, Partito socialista, Partito comunista). La lottizzazione è proseguita indisturbata. È comoda per tutti. Raitre arrivò a eccessi che le costarono l’appellativo di TeleKabul.

Nella vecchia Rai, c’erano casi picoli e grandi di censura, quasi sempre assurdi, da Tognazzi a Dario Fo. L’ideologia ufficiale era il bigottismo. Roba tramontata. Quando la Democrazia cristiana decise di disinteressarsi della cultura, appaltandola al Partito comunista, la Rai, lentamente, si adattò. Negli ultimi trent’anni, l’ideologia ufficiale è diventata il politicamente corretto. I programmi di Fabio Fazio, inattaccabili dal punto di vista della qualità, sono stati il faro della Rai. Chetempochefa riusciva a essere fazioso con il sorriso sulle labbra: solo ospiti di sinistra. Stesso discorso, ma più truce, vale per i terribili talk show militanti di Raidue e Raitre: tesi preconfezionate, ospiti scontati, partigianeria del conduttore. Il contrario del pluralismo. Peccato che la Rai debba per forza essere plurale: percepisce il canone, balzello odiato dagli italiani perché Viale Mazzini è considerato servizio di parte (sinistra). Ora tocca al centrodestra cambiare rotta per fare qualcosa di diverso, qualcosa di rispettoso della libertà d’espressione e di informazione. Qualcosa che sia davvero servizio pubblico.

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