Portaerei, missili e intelligence: così Londra vuol tornare una potenza globale

Portaerei, missili e intelligence: così Londra vuol tornare una potenza globale

Dalla fornitura di armi offensive impiegate dagli ucraini per infliggere duri colpi alla flotta di Mosca, alla pianificazione di bombardamenti aerei contro obiettivi Houthi nello Yemen del Nord: Londra sembra decisamente intenzionata a tornare ai vecchi fasti dell’Impero, proiettando la sua potenza nelle regione chiave con l’ausilio delle “armi” e della tattica militare dopo la rovinosa ritirata dall’Afghanistan.

Il Regno Unito è pronto ad inviare 200 missili per la difesa aerea a Kiev. Ad annunciarlo è stato il ministro della Difesa britannico Grant Shapps dopo la nuova massiccia ondata di attacchi russi che hanno colpito obiettivi anche questa notte con missili e droni. “Il Regno Unito si sta muovendo rapidamente per rafforzare la difesa aerea dell’Ucraina, sulla scia dei sanguinosi attacchi aerei di Putin. Centinaia di missili di difesa aerea di fabbricazione britannica saranno inviati per garantire che l’Ucraina abbia ciò di cui ha bisogno per difendersi dal barbaro bombardamento di Putin“, aveva scritto su X il ministro della Difesa britannico. Anche e nonostante le rimostranze del Cremlino, adirato per l’ennesimo attacco condotto dagli ucraini sulla flotta del Mare del Nord schierata in Crimea con i “missili inglesi”.

Missili e intelligence a supporto dell’Ucraina

Secondo i russi, notizia non smentita e al contrario suggerita dalle affermazioni del portavoce delle forze aeree ucraine Yuriy Ihnat, l’attacco è stato condotto con sistemi d’arma offensivi di elevata sofisticatezza che necessitano dell‘ausilio di satelliti e dati che difficilmente Kiev può gestire autonomamente. Lo stesso portavoce ucraino aveva lasciato intendere che nell’attacco erano stati impiegati nuovamente e con successo missili da crociera stealth di produzione franco-britannica Storm Shadow. L’obiettivo dell’attacco in questione è stata l’ennesima nave da guerra della Marina russa, la Novocherkassk, unità da sbarco di grandi dimensioni che secondo alcune indiscrezioni non confermate aveva a bordo un carico di droni killer di fabbricazione iraniana Shahed. Durante l’attacco una seconda unità è rimasta danneggiate e sono almeno 30 i marinai russi attualmente dichiarati come “dispersi”.

Questa posizione decisa nel supportare Kiev anche nonostante le ripetute minacce di ritorsioni del Cremlino è un chiaro segnale dell’impegno mantenuto dal Regno Unito nei confronti del governo ucraino; che ha ricevuto il supporto di Londra fin da prima dell’invasione definita semplice “operazione militare speciale” dal presidente Vladimir Putin. L’addestramento delle forze speciali ucraine per il corretto impiego di sistema d’arma difensivi, la condivisione di informazioni d’intelligence e l’ipotetica presenza di osservatori appartenenti ai servizi segreti e alle unità d’élite come lo Special Air Service nelle prime fasi del conflitto (e in precedenza), lasciano ricostruire un quadro che dimostra quanto e come Londra sia impegnata per la causa ucraina. E non meno quale “peso” dovrebbe mantenere se il conflitto proseguisse ancora a lungo, e gli Stati Uniti compiessero il temuto passo indietro che viene già attribuito alla nuova ipotetica amministrazione che sederà alla Casa Bianca.

Guerre “segrete” e dichiarate in Yemen

Il governo inglese, da lungo tempo impegnato in missioni di pattugliamento per la sicurezza per lo rotte marittime che attraversano il Golfo di Aden e il Mar Rosso per oltrepassare il canale di Suez, ha annunciato la pianificazione di azioni offensive – di comune accordo con gli Stati Uniti e un altro Paese europeo ancora non identificato – con l’obiettivo di persuadere i ribelli Houthi dello Yemen del Nord a smettere di condurre attacchi terroristici ai danni di mercantili e navi da guerra del dispositivo di sicurezza previsto dalla Coalizione internazionale. Ora impegnato nell’operazione Prosperity Guardian.

Il ministro della Difesa britannico ha definito le azioni degli Houthi come “attacchi illegali che rappresentano una minaccia inaccettabile per l’economia globale, minano la sicurezza regionale e minacciano di far salire i prezzi del carburante“. Ricordando come l’Hms Dimond – cacciatorpediniere lanciamissili della Royal Navy menzionata dalla propaganda russa come “ipotetico” oggetto di ritorsione – abbia “prontamente aderito all’operazione Prosperity Guardian. La nuova task force proteggerà la navigazione marittima e le rotte commerciali vitali nel Mar Rosso, dove grandi quantità di merci e petrolio transitano verso l’Europa e il Regno Unito“.

Gli interessi dei britannici per il mantenimento dello status-quo nell’area che comprende lo Yemen e il passaggio strategico di Bab el-Mandeb non sono “nuovi”. Al contrario sono ormai note la cosiddette “guerre segrete” condotte dagli inglesi attraverso azioni mirate dello Special Boat Service, unità di incursori della Royal Navy che ha combattuto per “tempo indeterminato” a fianco delle truppe saudite e degli Emirati Arabi Uniti che si impegnarono a contrastare gli insorti sciiti dello Yemen del Nord appoggiati dall’Iran. Un fiancheggiamento pari al supporto fornito dagli Stati Uniti, che anche in quell’occasione fornirono armi e in supporto “in presenza” attraverso i loro incursori di marina, i Navy SeAl.

Le guerre condotte in settori così sensibili all’ingerenza della maggiore Potenza islamista del Medio Oriente sono di norma combattute sotto traccia, attraverso la condivisione di informazioni d’intelligence e forniture militari (anche in questo caso), e solo in ultima istanza attraverso il coinvolgimento di forze speciali o attraverso la pianificazione di raid aerei come quelli menzionati anche dal Times : che potrebbero appunto comprendere l’impiego droni e caccia multiruolo Typhoon della Royal Air Force di base ad Akrotiri, l’enclave militare britannica sull’isola di Cipro che ha avuto un ruolo chiave nei bombardamenti del Siraq e sarebbe stata “attiva” anche nel supporto dello Stato di Israele nella sua lotta contro Hamas.

La proiezione di Potenza nel Pacifico

Tra il 2022 e il 2023 il Regno Unito non ha ovviamente dimenticato di mantenere una postura nell’importante teatro del Pacifico, inviando in missione di pattugliamento nel Mar Cinese meridionale oggetto di contese e tensioni la sua portaerei Hms Queen Elizabeth seguita da un ridotto aircraftcarrier strike group.

Nel report stilato dalla Difesa e dal governo britannico, diffuso lo scorso ottobre, viene sottolineato come l’Indo-Pacifico dove vivono 1,7 milioni di cittadini britannici e sono state registrate nel 2022 “relazioni commerciali per un valore di 250 miliardi di sterline“, sia considerato “fondamentale per l’economia, la sicurezza e l’interesse per un ordine internazionale aperto e stabile” dal Regno Unito; che è in perenne allerta e stretta collaborazione con i partner regionali membri dei Five Eyes: comunità d’intelligence composta da Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Canada. E deve necessariamente pianificare strategie per il futuro con i partner regionali.

Il report del governo di Londra ricorda come le previsioni economiche attribuiscano alla regione dell’Indo-Pacifico la produzione del 40% del Pil globale entro il 2030, oltre a considerare che ben il 60% del commercio globale passa attraverso le rotte marittime che attraversano la regione. Tali rotte per accedere al Mediterraneo e raggiungere velocemente i porti del nord d’Europa e dunque l’Inghilterra, devono necessariamente passare per il Canale di Suez, se non vogliono circumnavigare l’Africa come sono attualmente “costretti” per scongiurare il rischio di essere bersagliati dai ribelli Houthi. Come sottolineato in precedenza.

Dopo la rovinosa ritirata dall’Afghanistan, teatro di scontro dove il governo di Londra ha impegnato e sacrificato per almeno un ventennio soldati e risorse senza “ottenere” al pari degli Stati Uniti i risultati sperati – riconfermando il mito della “tomba degli imperi” – il Regno Unito del post-Brexit sta rischierando sullo scacchiere globale le sue forze per raggiungere obiettivi strategici, di deterrenza e immancabili interessi economici propri di ogni grande Potenza alla ricerca di una posizione di rilievo nell’assetto multi-polare che vede Stati Uniti, Russia, Cina e nuove entità in ascesa.

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