Adesso è l’orco, il nemico da abbattere, il Cazzaro verde (per citare l’insulto brevettato da Travaglio). Ma c’era un tempo – non troppo lontano – in cui sulle pagine del Fatto Quotidiano le critiche nei confronti di Matteo Salvini venivano sfumate come si sfuma un buon risotto con il vino.
Annacquate, stemperate e alleggerite, in nome di un agognato governo con partecipazione pentastellata o per effetto di una sancita alleanza, meglio dire contratto, tra il leghista e il grillino Di Maio. Era la stagione gialloverde, suggellata dall’esecutivo Conte I. Nei giorni precedenti al giuramento dinanzi a Mattarella, risfogliando le cronache di allora, serpeggiava un malcelato astensionismo di giudizio nei confronti del cattivo padano. Per carità, la dura stilettata di Travaglio non mancava, epperò di sicuro l’astio di inchiostro non ribolliva come ai livelli di oggi giorno.
Qualche esempio? Il 16 marzo 2018 il Fatto scriveva che «un governo Lega-M5s forse è il male minore». 29 marzo 2018, siamo a due mesi dall’inizio dell’esecutivo Lega-M5s e il Fatto registra subito la metamorfosi: «Il linguaggio del nuovo Salvini (senza ruspe). Ora Matteo fa lo statista: Porto buonsenso». Pochi giorni dopo: «Il patto Di Maio-Salvini sblocca le Camere e spaventa il Pd e B.». Altro cavallo di battaglia della squadra di via Sant’Erasmo 2 a Roma. Perché il nemico per eccellenza resta sempre il fondatore di Forza Italia e quindi il nemico meno nemico del principale nemico è utile e arruolabile alla causa. Basti pensare che a pochi giorni dall’insediamento del governo, il Fatto provò a dettare subito la linea con «Il decalogo per archiviare il delinquente», ovvero «Dieci impegni che 5Stelle e Lega devono mantenere per tenere B. fuori dai giochi. Quasi tutti, ça va sans dire, incentrati sulla giustizia.
Nella narrazione degli albori gialloverdi fa capolino poi anche il racconto di Scanzi che fotografa lo spaccato degli elettori pentastellati. Uno spaccato che si traduce nel titolo: «La sinistra che però Salvini» e che racchiude sentimenti di ravvedimento, pazienza e voglia di crederci. Occhiello: «L’elettore gauchiste dei 5Stelle ormai ha più paura di Renzi che dei leghisti». Alla vigilia del giuramento, le colonne del Fatto ospitavano l’analisi del politologo Pasquino che scriveva: «Con la Lega molto forte al Nord e con il Movimento dominante nel Sud Italia, mi avventuro a sostenere che la loro azione politica potrebbe portare a una sorta di ricomposizione dell’unità nazionale». Un altro intervistato come la Camusso spiegava che «questo governo allarma ma parla al nostro mondo». E il Fatto chiosava che il contratto Lega-M5S seduce molti e parlava anche di vento in poppa citando i sondaggi che davano il duo al 57%.
Il 2 giugno, secondo giorno di governo, un commento a firma Angelo Cannatà aveva il seguente titolo: «Una rinascita per l’Italia (con attenzione)». Nel pezzo si leggeva che «quando il ministro dell’Interno parlerà di immigrazione sarà necessario mediare (frenare Salvini xenofobo), quando Di Maio si occuperà di reddito di cittadinanza occorrerà controllare i conti. Pesi e contrappesi tra posizioni opposte: può venir fuori qualcosa d’interessante. Bisogna provarci». Lo stesso giorno, una disamina dello studioso Marco Tarchi spiegava che no, «Salvimaio non è populista». Anche l’irreprensibile Luisella Costamagna il 9 giugno 2018 si dimostrava attendista vergando: «Che paura Salvini al Viminale, però aspettiamo».
Il 12 luglio dello stesso anno arriva quasi un accenno di consacrazione. Pagina 11: «Salvini-Di Maio, il laboratorio politico di oggi». Con un sommario che non ammette fraintendimenti di sorta: «Al di là delle dispute su navi e porti e la divisione dei ruoli dei ministri, questo governo è apprezzato e il Pd dovrebbe capirlo». Nel marzo 2019 la solfa rimane più o meno la stessa: consapevolezza delle mire espansionistiche del leader del Carroccio e della debolezza della sinistra. Emblematico il commento di Antonio Padellaro: «Con questa sinistra, Salvini può dormire sonni tranquilli».