Bostik. Sergio l’attaccatutto spunta in tv all’ora del cenone e in 17 minuti rincolla l’Italia. Diritti, donne, giovani, sanità, lavoro, e poi il coraggio delle scelte difficili, e il no alle guerre che non significa neutralità ma impegno, e le sfide delle nuove tecnologie, e i valori dello stare insieme, e il richiamo alla «forza della Repubblica». Un discorso sobrio, per niente mieloso, venato anzi di preoccupazione, distante dalle risse parlamentari, molto politico e poco partitico e che almeno per un giorno funziona. E infatti dalla Meloni al Pd, da Tajani a Salvini a Conte, è un unico coro di apprezzamento. «Uniti si vince», dice il capo dello Stato, quindi abbassate i toni e abbandonate «la pessima tendenza di considerare gli avversari come nemici, praticando forme di aggressività attraverso accuse gravi e infondate». Però attenzione, «unità vuol dire partecipazione». Più voti, meno sondaggi e social, più attenzione ai ragazzi e meno all’ombelico del Palazzo. Sono «tempi di angoscia», tuttavia dobbiamo avere «fiducia, perché possiamo dare tutti qualcosa alla nostra Italia, con la solidarietà di cui siamo capaci, con la presenza attiva nella vita della nazione: dipende da noi chi mandiamo al potere».
Il drone che a volo d’uccello ci fa entrare al Quirinale, i corazzieri che scattano sugli attenti, poi le bandiere nel salone vuoto. Mattarella arriva dopo due secondi, camminando da una stanza all’altra, come per venire anche fisicamente incontro alla gente e carezzare le ansie di un Paese. Le guerre provocano paura e dolore nel mondo. E pure da noi le violenze, quelle contro le donne, nella società, nelle periferie rabbiose. Tante le cose che non vanno. I diritti che ancora mancano, i malati non curati adeguatamente, «i tempi inaccettabili delle liste d’attesa negli ospedali», gli anziani non assistiti, il lavoro sottopagato, le tasse evase, i costi per gli alloggi degli studenti «insostenibili», i desideri dei giovani inascoltati.
C’è materia per un ambizioso programma di governo, però il presidente non ha alcuna intenzione di polemizzare, indicare ricette o entrare nel dibattito tra i partiti. Non parla del Pnrr, né della Finanziaria e nemmeno delle riforme in cantiere che pure in qualche modo toccheranno il suo ruolo. Ma invita «ad avere il coraggio di ascoltare sempre l’altro», perché, spiega, il dialogo non è inciucio o compromesso, è l’essenza della democrazia. «Solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace sono i valori che la Carta pone a base della nostra convivenza e che appartengono alla nostra identità». Sembra una banalità, ma evidentemente c’è bisogno di ripeterlo.
Insomma tempi duri, bui. Mattarella è realista, non vuole nascondere i problemi, però neanche pronunciare un discorso ansiogeno. La violenza in cui viviamo, «tra gli Stati e nella nostra società», non deve «far vincere la rassegnazione o l’indifferenza». Una stagione che «presenta diversi motivi di allarme» e «nuove opportunità», a cominciare dall’intelligenza artificiale, che comunque va sfruttata con giudizio. La chiave secondo il capo dello Stato sta nel coinvolgere i ragazzi. Oggi «si sentono disorientati, se non estranei a un mondo che non possono comprendere e di cui non convivono andamento e comportamenti». Eppure «in una società dinamica» non si può fare a meno dell’apporto delle ultime generazioni, «delle speranze che coltivano, della loro capacità di cogliere il nuovo».
Spesso sbagliano, a volte delinquono, e qui parla delle violenze sessuali e dei femminicidi. «Cari ragazzi, ve lo dico con parole semplici, l’amore non è egoismo, dominio, è rispetto e sensibilità». A volte invece sono abbandonati dallo Stato. «Il diritto allo studio incontra ancora troppi ostacoli». A volte si deve pensare di più agli anziani. «Il sistema assistenziale fatica a dar loro aiuto, si ha sempre bisogno della saggezza e dell’esperienza di chi ha contributo alla crescita del Paese». E ai senzatetto, «che il Papa definisce vittime della cultura dello scarto».
E insomma, lo sguardo del presidente vuole abbracciare tutte le componenti della società e si basa sul presupposto che «è necessaria una cultura della pace: la violenza delle guerre non nasce da sola ma da quello che c’è nell’animo degli uomini». E quindi «parlare di pace non è astratto buonismo, è un esercizio di realismo per evitare una crisi devastante» per il pianeta. Non basta far tacere le armi, aggiunge. Talvolta anzi vanno usate. E riafferma l’orgoglio italiano nel sostegno all’Ucraina «contro la Russia che la vuole sottomettere», la condanna «delle indicibili atrocità commesse da Hamas» e della prolungata reazione di Israele «che provoca migliaia di vittime civili». La linea non cambia.