Il sentimento del Po è struggente, irresistibile. Chi ha vissuto vicino al fiume, chi ne ha visto i tramonti, chi ha passeggiato lungo gli argini, chi è arrivato verso le distese del delta, sulle spiagge desolate di Volano, non lo può dimenticare, se lo porta dentro. Per quanto le nature possano essere diverse, la forza del fiume è travolgente. Ed è dentro di me come è dentro mia sorella, come la racconta nei suoi film; ed era dentro mio padre che l’ha raccontata nei suoi libri. Così, leggendo il saggio di Diego Crivellari Scrittori e mito nel delta del Po, ho trovato una citazione di un libro di mio padre, Lungo l’argine del tempo, che non ricordavo, ma che potevo immaginare. Mi sono lasciato riportare, nella suggestione delle sue parole, verso luoghi che ben conoscevo, e di cui mi ha preso una grande nostalgia. E ho voluto tornarci. Sentivo dentro di me il vuoto di quella piazza, che egli descrive e, vedendola senza averla prima vista, tutti i miei amici e accompagnatori hanno provato lo stesso “sentimento”. Ascoltate.
«Il piccolo sogno più grande di tutti è quello di una passeggiata a Crespino, magari all’ora del tramonto. (…) Ci sono poche cose che amo come immergermi nella magia della grande piazza dedicata a Fetonte. Una delle più belle d’Italia e tra tutte la mia preferita. Amo l’armonia di linee e volumi, la metrica perfetta del porticato del palazzo comunale e il barocco misurato della chiesa dei Santi Martino e Severo. Un salotto affascinante, reso ancora più prezioso da un tappeto di piccoli blocchi di porfido rossastro, che disegnano a terra una serie di infiniti archi regolari, simili a creste d’onda che si distendono una dopo l’altra sulla battigia. È nel grande spazio vuoto occupato da questo elegante tappeto di pavé che, tre o quattromila anni fa, secondo una leggenda che non ha mai smesso di accendere la mia fantasia, al termine di una corsa mozzafiato ma disastrosa, sarebbe precipitato il “Carro del Sole”. (…) Fetonte e i cavalli caddero nei pressi della foce di un grande fiume (lo stesso che allora era conosciuto come Eridano e che oggi chiamiamo Po), esattamente nel punto in cui oggi sorge la meravigliosa piazza di Crespino. Un punto nel quale – come anche il visitatore più smaliziato può verificare di persona non è più cresciuto nemmeno un albero. Che sia soltanto un caso? Forse. Ma è perlomeno strano che gli alberi abbondino, invece, a poche decine di metri di distanza da lì, lungo gli argini del grande fiume. Pioppi, soprattutto. Il loro continuo frusciare ricorda un pianto discreto ma inconsolabile. Quegli alberi eleganti silenziosi hanno un cuore: il cuore delle Eliadi, le sorelle di Fetonte, che Zeus, impietosito dal loro straziante dolore, trasformò appunto in pioppi».
Ed eccoci, nel sogno di mio padre: ritrovare quella piazza che da Fetonte prende il nome (non da Garibaldi: non storia, ma mito), sentire la sua voce, seguire la traccia dei suoi occhi. Inseguendo i suoi passi verso la trattoria «Aligi» e poi in quella, calda, rumorosa e ben illuminata, che è la «Taberna Salis», accompagnati dal sindaco gentile Angela Zambelli nel vociare festoso delle persone. E poi di lì, di nuovo nella vasta piazza, a risentire la musica del violoncello della memoria, così come ce lo ricorda Crivellari: «Musica e mito. Ritroviamo il carro di Fetonte e lo scenario suggestivo della piazza di Crespino nel romanzo In capo al mondo di un autore come Giuliano Scabia, allorché Lorenzo, il protagonista, decide ad un certo punto della storia di scendere fino al paese, alla sua piazza e di suonare il proprio violoncello in questo luogo magico (“era una cassa armonica perfetta quella piazza acciottolata”), alla ricerca di una “acustica buona”, di un paesaggio in cui poter “far sentire la vera musica” spazio e suono finalmente “puro” di fronte allo stupore degli stessi paesani».
Ed eccoci nella parrocchiale accompagnati da Don Graziano, gentile e carico di memoria, come il marito del sindaco Federico Simoni, ricordando mia madre e mio padre passeggiare nell’aria dolce di Crespino, entrare in quella chiesa, vedere la Madonna con il bambino con San Francesco e la Maddalena del Garofalo, pittore ferrarese che porta dentro di sé Raffaello, in un ordine e una perfezione incorruttibili dal tempo. Non siamo a Crespino. Siamo a Roma o a Bologna. Come davanti alla pala d’altare di Jacopo Alessandro Calvi detto il Sordino, di una armoniosa solennità che rimanda al classicismo di Guido Reni e di Guercino, ancora commemorato in pieno Settecento da Gaetano Gandolfi, con la sua severa Crocefissione. Tutto questo nella vasta chiesa, una cattedrale per soli 1700 cittadini. E, a fianco, Palazzo Turchi-Bevilacqua, con soffitti settecenteschi bellissimi che rivestono altri soffitti cinquecenteschi anche più belli. Alle pareti grandi tele di Cesare Gennari e di Giuseppe Zola, poco conosciute ma molto ricche di particolari gustosi, in un crescendo che mi fa rimpiangere di non averne memoria nel mutilato archivio dell’elegante palazzo comunale.
Intanto nella grande piazza si continua a sentire l’eco dello schianto di Fetonte, ed è questa la prova della sfida interminabile dell’uomo: volare nel cielo, in gara con gli dei. Lo ritrovo, per coincidenza, in un bozzetto di Felice Giani, per il salone ottagonale di palazzo Milzetti a Faenza, esposto nella coltivata mostra di Palazzo Bentivoglio a Bologna. La piazza di Crespino ritorna centro del mondo e del mito.
Ripenso, commosso, alla commozione di mio padre nel vedere le sue terre nello scenario padano immaginato da Adelchi Riccardo Mantovani, pittore di Ro trapiantato a Berlino, ma con il cuore a Crespino. E vedendo fra le nuvole, sul corso del fiume, il suo Fetonte, trasferito in Icaro, protagonista del mito parallelo dell’impossibile volo. Adelchi aveva, come mio padre, nel cuore il grande fiume, e in questo luogo continuano a vivere anche in paradiso. Perché, ne sono certo, non potrebbe esserci paradiso se i paesaggi che si vedono di lassù non fossero quelli che ha veduto dall’alto, cadendo, Fetonte. Per continuare ad ardere, dentro il suo carro, nella piazza di Crespino.