Due guerre in corso ancora caldissime, in Ucraina e a Gaza, il dossier migrazioni che inquieta l’Unione europea, la sfida nel Pacifico con la Cina e il futuro di Taiwan in ballo. Arriva l’anno record delle elezioni, più di 4 miliardi di persone chiamate alle urne nel mondo come non era mai accaduto nella Storia, ha ricordato l’Economist. Un anno carico di sfide e incognite orientate dagli umori elettorali. Nel 2024 voterà oltre la metà della popolazione mondiale, distribuita in 76 Paesi, di cui 28 regimi non democratici. Ma sarà un’elezione su tutte, quella negli Stati Uniti d’America, a incidere più di ogni altra sui due principali conflitti in corso, la guerra in Ucraina e quella nella Striscia di Gaza, con tutte le conseguenze geopolitiche ed economiche che ne seguiranno a cascata.
Votano otto dei dieci Paesi più popolati al mondo Russia e Stati Uniti, Brasile, India, Indonesia, Messico, Pakistan e Bangladesh vota l’Unione europea dove non smette di aggirarsi lo spettro dell’ultradestra, ma sarà la strada che porterà alla sfida finale di novembre negli States e sarà il suo esito a dettare l’agenda politica internazionale dei prossimi anni. Trump o Biden, questo è il dilemma. Colmo di punti interrogativi, con il rischio che «The Donald» non arrivi al duello finale per i suoi guai giudiziari e con la possibilità che torni invece alla Casa Bianca sparigliando completamente le carte, in casa e all’estero. Sostenitore della destra israeliana, Trump potrebbe anche dare il suo via libera all’annessione della Cisgiordania. E sul fronte ucraino chiudere i rubinetti a Kiev, riallacciare con Putin ed ergersi a pacificatore del mondo mettendo fine alla guerra in Ucraina prima che ci riesca Biden, già in difficoltà sull’invio degli aiuti a Zelensky. A marzo si vota anche in Russia e Putin annientato il rivale Navalny con il carcere-lager – è pronto a celebrare la sua quinta volta da presidente, strada spianata fino al 2030. Un’intesa, ovviamente pro-Mosca, sarebbe la ciliegina sulla torta.
Chi invece è appeso alle vicende statunitensi e non ha ancora deciso se buttarsi sulla sfida elettorale presidenziale è il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Appeso agli umori di Washington, con l’incubo del ritorno di Trump sul groppone, il presidente-eroe dovrebbe chiudere nel 2024 i suoi 5 anni di mandato. Ma la legge marziale vieta da due anni le elezioni e la priorità è non perdere la guerra. Anche per questo i possibili oppositori e l’opinione pubblica non vogliono che si voti a conflitto in corso, per evitare che le urne si trasformino nella celebrazione di Zelensky. Che pure vede la sua stella offuscata dalle prime forti e pubbliche critiche interne, e teme le ambizioni politiche del generale Valeriy Zaluzhny, capo dell’esercito. La guerra è tutt’altro che vinta e se gli aiuti occidentali scarseggeranno e le perdite aumenteranno, Kiev potrebbe essere costretta a cercare un accordo di pace con Mosca. Finora Zelensky ha resistito, forte dell’appoggio occidentale per mettere un argine a Putin. Ma il sostegno dipenderà ancora una volta da quello che accade negli Stati Uniti. Una situazione di totale incertezza sul campo di battaglia e sullo scacchiere internazionale fino al prossimo novembre, con la suspense per possibili colpi di scena e ricadute a effetto domino, dall’Europa al resto del mondo.
Sarà a marzo, invece, che verranno delineati i nuovi equilibri e indirizzi politici dell’Unione europea, dove preme la sfida immigrazione, che soffia a favore delle destre e spaventa i progressisti. Povertà, cambiamenti climatici e conflitti non fermano il flusso, specie dall’Africa al Mediterraneo, dove nel 2023 sono 2.200 le persone morte o disperse. Sul tavolo c’è inoltre una scommessa politica e simbolica non da poco: l’allargamento dell’Unione a Ucraina e Moldavia, con l’Ungheria di Orbán pronta a insidiare ancora l’unanimità europea e a farsi notare nel gruppo e a Mosca. Anche Bruxelles è in balia dei venti sull’Ucraina.
Giochi più grandi si giocano nella sfida fra Stati Uniti e Cina a Taiwan, l’isola considerata da Pechino una provincia ribelle, dove le elezioni di gennaio stabiliranno le relazioni con la Cina per i prossimi quattro anni e le sfide nell’area del Pacifico, altro fronte caldissimo sul piano strategico e militare.
In Asia va alle urne anche l’India, 1 miliardo e mezzo di abitanti (nel 2023 il sorpasso sulla Cina, che soffre invece di denatalità e invecchiamento della popolazione) e il nazionalismo induista del primo ministro Narendra Modi, nonostante i timori per il futuro democratico del Paese e le discriminazioni religiose, sembra non troverà ostacoli, aprendo al terzo mandato del capo di governo.