Il 2024 si annuncia impegnativo per la diplomazia italiana. Nell’anno che si apre sarà Roma a guidare il G7 e già si profila la necessità di una mediazione su una questione spinosa: la sorte dei 300 miliardi di dollari russi sequestrati nei forzieri delle banche occidentali al momento dell’invasione dell’Ucraina. Nei giorni scorsi il Financial Times ha pubblicato alcune indiscrezioni su un piano americano, che avrebbe ricevuto il sostegno di Canada, Giappone e Gran Bretagna, per il sequestro immediato dei soldi congelati. Gli Stati Uniti premono perchè i tempi siano brevi e se ne discuta già nel mese di febbraio.
Interpellato a questo proposito il portavoce del Cremlino Dimitri Peskov ha fatto ovviamente la faccia feroce: si tratterebbe, ha detto, di una clamorosa violazione del diritto internazionale e di un pericolo per il sistema finanziario internazionale. Lo stesso Peskov ha anche confermato che il Cremlino ha già pronta una lista di beni occidentali su cui rivalersi nel caso di un «blitz» occidentale.
La questione è, come è facile immaginare, delicata. Per tutti e in particolare per l’Italia, le cui società possiedono non pochi asset in terra russa. Per il momento l’Unione Europea ha adottato una politica di grande prudenza, preoccupata di non stabilire un precedente pericoloso. E sulla materia proprio la Ue potrebbe far valere una sorta di primogenitura, visto che poco meno dei due terzi dei beni sequestrati (dispersi tra le grandi piazze finanziarie: Londra, Francoforte, New York) sono depositati in istituti di credito europei. Sempre l’Europa rivendica tra l’altro il fatto di aver sempre fatto il suo dovere per sostenere Kiev. Nell’ultimo pacchetto di sanzioni Bruxelles ha reso più duro il trattamento dei prodotti petroliferi commerciati da Mosca a livello internazionale e ha bloccato uno degli ultimi business russi in Europa, quello dei diamanti che fino ad ora, più o meno alla luce del sole, venivano trattati soprattutto sul mercato di Anversa (pare che il settore abbia un valore intorno ai quattro miliardi di euro).
Quanto alle modalità di azione dei Paesi occidentali, tra l’altro, le ipotesi sul tappeto restano numerose. Si va dall’ipotesi estrema del sequestro tout court, fino all’utilizzo dei soli interessi sui beni bloccati (che rimarrebbero, in quanto tali, congelati). Una via di mezzo sarebbe quella di usare i beni sotto sequestro come garanzia per i prestiti necessari alla ricostruzione dell’Ucraina.
Proprio al sostegno del Paese aggredito, infatti, saranno indirizzati tutti i proventi di un’eventuale azione coattiva. Le distruzioni hanno già raggiunto un livello enorme, secondo alcuni calcoli pari a 400 miliardi di euro. Anche impadronirsi di tutti i beni russi non sarebbe dunque sufficiente a un pieno risarcimento.
Ma non è di questo che si discuterà sul tavolo negoziale.
A pesare saranno almeno un paio di elementi. Da una parte l’esigenza di mostrare al Cremlino che il mondo occidentale continua a non accettare la legge del fatto compiuto e dell’aggressione. Dall’altra la volontà di non violare principi giuridici, il cui mancato rispetto potrebbe avere conseguenze negative per il futuro.