Il ministro Sangiuliano (in teoria) alla guerra della cancel culture

Il ministro Sangiuliano (in teoria) alla guerra della cancel culture

Parole sante, eppur parole. Gennaro Sangiuliano, il ministro della Cultura più italocentrico da quando esiste il ministero della Cultura (da Giovanni Spadolini dunque), ha inserito un paio di righe cruciali nella nuova versione della legge sui media, introducendo il «contrasto alla tendenza contemporanea di distruggere o ridimensionare gli elementi o simboli della storia e della tradizione della Nazione». Quando la legge entrerà in vigore l’Agcom, autorità in materia, potrà sanzionare la cancel culture.

Potrà, con un gioco di parole, censurare la censura. Questo in teoria. In pratica temo che le cose stiano diversamente. Oggi la censura, di qualsiasi tipo e pertanto anche culturale, incombe soprattutto sui social, piattaforme globali che non si sono mai mostrate molto preoccupate dalle normative nazionali. In passato Facebook e Instagram non si sono fatti problemi a oscurare le Tre Grazie del Canova, quanto di più culturalmente uf ficiale. E, sempre in nome del neopuritanesimo americano, altre mille opere d’arte custodite nei musei di tutto il mondo.

Nel presente i social continuano imperterriti a boicottare, minacciare, bloccare i migliori pittori viventi che dipingono nudi secondo una tradizione figurativa che inizia almeno dalla cultura greco-romana (a loro ho dedicato una mostra ora in corso al Vittoriale, intitolata per l’appunto «I Censurati»). A rischio non è soltanto l’arte figurativa. In Belgio e Olanda hanno già sbianchettato Dante, il nostro Dante, perché colpevole di islamofobia (i versi su Maometto). E meno male che i cancellatori la grande letteratura la leggono poco e non si sono ancora accorti del misogino Petrarca («La donna è un vero diavolo, una nemica della pace» scrisse nelle «Seniles»). Ben venga la legge ma perché non sia lettera morta c’è bisogno dell’amore per la libertà di espressione. In giro ne vedo poco.

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