Smentiti i gufi, anche la Borsa promuove Meloni

Smentiti i gufi, anche la Borsa promuove Meloni

Sebbene l’economia non sia una scienza esatta, il verbo gufare non è molto in uso tra quanti se ne occupano per mestiere perché si sa che ogni spostamento di risorse ha la sua spiegazione razionale. In altre parole, dietro un risultato positivo ci sono sempre scelte ponderate, con un fine politico preciso, adottate da donne e uomini che quindi ne sono responsabili. Ciò vale anche quando i risultati sono negativi: la sfortuna c’entra poco. Sicché invocare il destino avverso nella speranza di minare il percorso dell’avversario politico non ha senso. Tuttavia, visto che nelle forze di opposizione abbondano i profeti di sventura, soprattutto quando non si hanno argomenti concreti di contrasto, per una volta vien bene dire: cari gufi, volgete altrove i vostri esorcismi, perché questo non è il vostro tempo. La riflessione viene immediata osservando la raffica di numeri economici con davanti il segno più che si vanno cumulando in questa fine d’anno e che consentono di tracciare un primo bilancio organico dell’attività del governo Meloni.

Sia chiaro, non tutto è andato per il meglio e non tutti i segni più fanno allegria (si pensi al debito pubblico, ormai pericolosamente vicino a 2.900 miliardi), se però si pensa alle turbolenze generate da una inflazione come non si vedeva da quarant’anni, dal forte balzo dei tassi, da una instabilità geopolitica che pare non appianarsi, molti pericoli sono stati oggettivamente scampati grazie a un governo che, soprattutto negli esponenti più rappresentativi, ha fatto della fermezza e della lungimiranza la cifra della sua azione. Bene ha fatto perciò la premier Meloni a rivendicare «il risultato straordinario» ottenuto sul fronte del Pnrr, che proprio ieri ha visto partire per Bruxelles la richiesta italiana del saldo della quinta rata. Certo, resta aperto il tema della messa a terra dei numerosi progetti finanziati compresi nei 102 miliardi già incassati e su questo fronte è lecito lamentare insoddisfazione, perciò è bene che nel 2024 alla questione venga dedicato più di un mero invito alle burocrazie centrali e locali affinché divengano parte del progetto invece che restarne ai margini. Il che nulla toglie al merito di aver trasformato il Piano da libro dei sogni ipotizzato dal governo Conte ad ambizione politica credibile; soprattutto capace, almeno sulla carta, di contribuire seriamente all’emancipazione digitale e green del Paese.

Del resto, come testimonia la Commissione di Bruxelles, se si esclude qualche sacca di resistenza sul fronte delle concessioni demaniali e su quello della mobilità cittadina, le riforme stanno prendendo consistenza, non ultima quella fiscale che nel 2024 verrà completata rispondendo a una esigenza che nel Paese andava maturando da trent’anni.

Non ha aiutato la brusca impennata del costo del denaro che, oltre a penalizzare le casse del Tesoro per gli ingenti interessi che pagherà per molti mesi ancora, ha infilato un robusto palo nelle ruote di una crescita che pure era molto bene impostata e che ora dovrà vedersela con la forte caduta degli investimenti privati. Nondimeno, i consumi hanno retto discretamente: ciò anche grazie a livelli occupazionali che proprio quest’anno hanno toccato il record di 23,6 milioni di lavoratori attivi, riducendo al 7,6% il tasso di disoccupazione. Inoltre, il calo congiunturale del 2,7% della produzione industriale non si è riflesso sulle esportazioni, che con 635 miliardi chiudono l’anno al livello più alto di sempre.

Quanto ai costi dell’energia per famiglie e aziende, sebbene ancora alti rispetto alla situazione pre-bellica, si è però assistito a un dimezzamento generalizzato che allo stato sembra destinato a proseguire. E non solo per merito del mercato.

Insomma, una tenuta complessiva che non sarebbe stata tale se il ministro dell’Economia non avesse posto fine alle follie tipo Superbonus e Reddito di cittadinanza, grazie a un’opera di razionalizzazione delle risorse che ora premia davvero solo gli ultimi, evitando nuove voragini al bilancio dello Stato. Quanto infine alla Manovra 2024 approvata ieri dal Parlamento, non è certo il miglior viatico per incentivare la crescita; è però il massimo che si potesse fare nel rispetto delle necessità del Paese, mantenendo un equilibrio dei conti che ha ricevuto il plauso dei mercati e della Commissione di Bruxelles. Un plauso che trova la sua sintesi nei numeri forniti ieri da Borsa Italiana, da sempre il voto più sincero sull’operato dei governi. Ebbene, nei 12 mesi lo spread Btp-Bund è crollato da 219 a 168, l’indice azionario di Piazza Affari è cresciuto del 28% tornando ai livelli del 2008, il valore totale delle 429 società quotate è balzato a 761 miliardi di euro (+21,6%) e 39 sono le nuove ammissioni al listino, il numero più alto nell’ambito di Euronext che raggruppa sette tra le principali Borse europee.

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