Eseguita questa mattina in Iran la condanna a morte per quattro persone, tre uomini e una donna, accusati di avere legami con il Mossad, i servizi segreti di Israele. A comunicare l’avvenuta esecuzione, presumibilmente per impiccagione, è Mizan, l’agenzia di stampa vicina alla magistratura iraniana.
“Quattro membri di un team di sabotaggio associato al regime sionista che hanno condotto vaste azioni contro la sicurezza del Paese sotto la guida di agenti del Mossad sono stati giustiziati a seguito di procedure legali” si legge nel comunicato pubblicato. Secondo quanto reso noto dalle autorità di Teheran i quattro, Wafa Henare, Aram Omari, Rahman Parhazo e Nasim Namazi, erano stati accusati di aver rapito diversi uomini appartenenti alle forze di sicurezza iraniane al fine di ottenere informazioni sensibili e di aver dato fuoco a macchine ed abitazioni di agenti segreti del regime degli ayatollah. Una decina in tutto sarebbero state le persone coinvolte nel caso con condanne sino a 10 anni di carcere per i restanti membri del gruppo.
Le accuse ai “sabotatori” – l’agenzia Mizan parla di “crimine di guerra e corruzione” – non sono inedite. A metà dicembre la televisione di stato ha comunicato che una spia del Mossad di cui non si conoscono le generalità è stata giustiziata nella prigione di Zahedan nella provincia sudorientale del Sistan e Balucistan. Lo 007 potrebbe essere uno dei tre individui fermati nell’aprile dell’anno scorso dagli agenti di Teheran. A gennaio poi è stata eseguita un’altra condanna a morte contro l’ex ministro della Difesa con doppia cittadinanza iraniana e britannica, Ali Reza Akbari, per una sospetta collaborazione con i servizi segreti del Regno Unito.
Non sembra inoltre casuale la tempistica delle ultime esecuzioni. Meno di una settimana fa in Siria è stato ucciso in un’operazione aerea riconducibile ad Israele Seyed Razi Mousavi, un generale di spicco delle Guardie della rivoluzione, note anche come pasdaran. Gli israeliani da decenni sono impegnati in una guerra di spie senza confini contro Teheran, in alcuni casi con il supporto di Washington. Ad inizio 2020 fu infatti l’ex presidente Donald Trump ad autorizzare il raid aereo che eliminò a Baghdad Qassem Soleimani, lo storico comandante delle Guardie ritenuto l’ideatore di decine di operazioni contro Israele e le truppe americane impegnate in Iraq.
Come già successo dopo l’uccisione di Soleimani, Teheran ha giurato vendetta anche contro gli esecutori dell’assassinio di Mousavi. Dall’attacco di Hamas del 7 ottobre la guerra strisciante tra lo Stato ebraico e l’Iran ha compiuto un salto di livello. Il regime degli ayatollah si affida, almeno per ora, ai suoi proxies nella Striscia di Gaza, in Libano, Siria, Iraq e Yemen per colpire Israele e gli Stati Uniti con conseguenze notevoli. Il continuo lancio di missili da parte degli Houthi yemeniti ha portato ad un blocco di fatto quasi totale del transito delle navi da e per lo stretto di Suez con pesanti conseguenze sul traffico marittimo.
Sullo sfondo rimane poi aperta l’ultradecennale questione del programma nucleare iraniano che Israele considera una minaccia esistenziale. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha rivelato martedì che Teheran “ha aumentato la produzione di uranio altamente arricchito”. Gli Usa, la Francia, la Germania e il Regno Unito hanno condannato uno sviluppo che rappresenta “un passo nella direzione sbagliata” che dimostra “la mancanza di volontà dell’Iran di impegnarsi in una de-escalation in buona fede” e invitano Teheran a “cooperare pienamente con l’AIEA”. Laconica la risposta del regime teocratico a seguito della pubblicazione del rapporto dell’Aiea: “non c’è nulla di nuovo”.