Riferivamo, pochi giorni fa, di una festa un po’ spinta (il tema della serata era «quasi nudo») in un locale esclusivo di Mosca, il Mutabor. L’organizzatrice, l’influencer Anastasia Ivleyeva, l’aveva concepita come sfida al cupo bacchettonismo di Stato che Vladimir Putin sta imponendo alla Russia. Valori tradizionali, nazionalismo militarista e patria, patria, patria. Beh, è finita male. È finita che il propagandista di regime Vladimir Soloviov ha dato dei «bastardi» ai festaioli che hanno osato farsi beffe «del Supremo Comandante che alza il bicchiere alla Vittoria»; che Ekaterina Mizulina, la parlamentare putiniana sacerdotessa del politicamente corretto alla russa, ha preteso multe esemplari e un boicottaggio di Stato per i partecipanti, gente dello spettacolo troppo frivola per capire che non è il momento di scherzare perché c’è una guerra – pardon, un’operazione speciale (guerra non si può dire, si rischiano 15 anni di galera).
E detto, fatto: l’ufficio delle tasse ha fulmineamente aperto un’indagine sulla Ivleyeva, e chissà se le basterà essersi genuflessa in pubbliche scuse e promesse di donare in beneficenza i proventi dei biglietti del party. Tutti gli altri personaggi dello show-biz russo presenti al Mutabor hanno fatto lo stesso: prima hanno parlato di una magnifica serata, poi si sono umiliati in video di scuse e assicurazioni di aver capito il loro stupidissimo errore.
Sullo stupidissimo, siamo d’accordo: bisogna esserlo per non aver ancora capito che la Russia non è più un Paese normale, e che la guerra che Putin ha lanciato senza limiti di tempo in Ucraina è anche un pretesto per tappare le bocche e castigare i costumi. Patria, patria, patria e basta. Nemmeno Artyom Kamardyn e Egor Shtovba, due giovani poeti che avevano letto in pubblico poesie contro la guerra, l’avevano capito: hanno beccato rispettivamente sette anni e cinque anni e mezzo di galera per «incitamento all’odio».
A dire no, sul piano politico, è rimasta Ekaterina Duntsova, la giornalista che vuole sfidare Putin alle presidenziali del 15 marzo. La sua candidatura da indipendente è già stata respinta con pretesti formali, varie minacce sono già partite ma lei non cede: vuol fondare un suo partito «per rappresentare le decine di milioni di russi che chiedono pace, democrazia e libertà». Ci aveva già provato Aleksei Navalny ed è finito in Siberia. Difficile che a lei vada meglio, ma speriamo.