La guerra in Ucraina rappresenta un grande punto interrogativo del 2024. A febbraio, il conflitto scatenato dalla Russia compirà due anni, e l’impressione è che quello in arrivo possa essere l’anno della sua definitiva risoluzione o stabilizzazione. In quale senso, però, è naturalmente tutto da dimostrare.
La Russia è arrivata alla fine del 2023 con una condizione particolare. Da un lato non ha ottenuto successi militari di straordinaria importanza, né ha compiuto avanzate in grado di sovvertire l’ordine ucraino. Tuttavia, le visioni più ottimistiche su un’avanzata di Kiev e su una controffensiva in grado di spaccare la prima linea russa si sono scontrate con la capacità di Mosca di resistere e anche di rafforzare le proprie posizioni anche colmando le perdite umane e di mezzi. E alcune simboliche (per quanto molto dispendiose) “vittorie” russe, tra Soledar e Bakhmut, hanno colpito il morale ucraino ed evitato il collasso di quello russo.
Il presidente Vladimir Putin, annunciando la sua nuova candidatura come capo del Cremlino per il 2024, ha di fatto già indirizzato la linea che intende avere per il prossimo anno: la continuità e la consacrazione a leader “eterno” della Federazione. L’Ucraina è chiaramente il centro di questa sfida, che Putin vuole vincere anche raggiungendo un’intesa politica con l’Occidente ristabilendo una sorta di condominio a due in Europa. Se infatti è stato ribadito più volte che l’invasione dell’Ucraina continuerà fino al raggiungimento degli obiettivi di Mosca (come la ben nota e propagandata “denazificazione”), è altrettanto vero che il presidente russo ha da tempo iniziato a mostrare segnali per un accordo con l’Occidente (ma non con Kiev). Il tema è stato sollevato anche da una recente dichiarazione dello “zar” in cui è stato sottolineato che le porte della Federazione Russa per Stati Uniti, Canada e Paesi europei sono “aperte” e di non continuare a “perdere tempo” aspettando il collasso russo. L’obiettivo di Putin sembra essere ancora una volta quello della cristallizzazione del conflitto, nella speranza che proprio il 2024, con la sua rielezione, conduca a un’intesa sul congelamento della guerra nello status quo ottenuto dopo due anni di combattimenti.
Nei suoi ultimi annunci, Putin sembra escludere una nuova mobilitazione generale, e tutto fa credere che il suo scopo sia quello di prolungare il conflitto senza stravolgimenti in senso offensivo. Tuttavia, non mancano segnali – anche di stanziamenti economici – che escludono una riduzione dell’impegno militare. I programmi dell’industria bellica e quelli per l’occupazione della parte già invasa dell’Ucraina rimangono molto chiari. E il capo del Cremino ha più volte fatto capire che il tempo è la sua vera arma, nella speranza che l’Occidente diminuisca il suo sostegno militare all’Ucraina fino al punto in cui costringerà il presidente Volodymr Zelensky a trattare perché impossibilitato a fronteggiare un conflitto logorante con la macchina bellica russa. Una macchina tecnologicamente non all’avanguardia, ma con un Paese completamente indirizzato verso il suo funzionamento e con un numero di uomini nettamente superiore.
La speranza di Mosca è stata confermata non solo dalle dichiarazioni di alcuni apparati ucraini, che hanno fatto capire di avere avuto problemi nella controffensiva e di essere pericolosamente a rischio in caso di chiusura del rubinetto degli Stati Uniti, ma anche dalla stessa politica americana. Il pantano al Congresso con la minoranza repubblicana che ha bloccato l’erogazione di circa 60 miliardi di dollari di aiuti bellici è stato un segnale particolarmente eloquente. È dunque probabile che Putin voglia giocare la sua ultima fiammata militare in Ucraina proprio nel periodo tra la sua rielezione (praticamente certa) e l’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti: con l’Europa che attende il passaggio non così fondamentale ma nemmeno così innocuo delle elezioni del parlamento europeo.
Dal punto di vista ucraino, è chiaro dunque che questo 2024 si preannunci altrettanto decisivo. I segnali d’allarme riguardo la politica statunitense e i contemporanei dubbi espressi da alcuni segmenti europei fanno credere che Zelensky si trovi in un momento spartiacque: o l’Ucraina rovescia il fallimento della controffensiva, o sarà costretta a siglare un accordo con la Russia (o ad accettare un conflitto congelato e la perdita dei territori senza una formalizzazione).
Per ottenere il primo obiettivo, la speranza è soprattutto riposta nel cambiamento di tattica (già paventato a Washington) e dall’aumento del flusso di armi e mezzi da parte dell’Occidente. Non c’è alternativa: Kiev, che ha già perso un enorme numero di uomini e che ha un sistema industriale e bellico piegato dall’invasione e dalle bombe, può fare affidamento solo sugli aiuti degli alleati. Gli aerei e i carri armati promessi non sono sufficienti o non sono arrivati, e la copertura aerea resta il tallone d’Achille dei comandi ucraini. Lo sblocco dei fondi Usa può dare una boccata d’ossigeno a Zelensky e al suo governo, ma potrebbe non bastare senza una reale pianificazione che porti a concepire la vittoria ucraina, oltre che solo a evitarne la sconfitta.
In questo senso, è opportuno segnalare come molti analisti stiano cercando capire i possibili sviluppi sul campo in grado di favore Kiev. La controffensiva su più punti ha fallito, mentre Washington premeva per aprire un unico fronte che spezzasse la prima linea russa dividendo Crimea e Donbass. La Russia ha minato diverse parti del territorio occupato e ora appare in grado di minacciare un’avanzata: ipotesi che esclude che Kiev possa proporre una nuova offensiva unitaria con troppi soldati da distogliere da altri fronti. In questi mesi, Kiev ha testato le possibilità di superare il Dnepr: ci è riuscita ma senza sbarchi di grossa portata. I risultati migliori sono arrivati paradossalmente sul fronte navale, dove appariva molto meno adatta a contrastare la flotta russa. La guerra asimmetrica attuata dai militari ucraini ha messo in serio pericolo la stabilità della Crimea e costretto le unità di Mosca ad allontanarsi dalla costa occidentale dell’Ucraina o anche ad abbandonare Sebastopoli. Droni di superficie e droni aerei sono diventati un’arma molto utile all’UCraina. E questi sistemi potrebbero essere usati con sempre maggiore estensione anche per sopperire a eventuali riduzioni del flusso di aiuti dall’America e dall’Europa.
È possibile, dunque, che Kiev decida di passare a una guerra sempre meno di massa ma sempre più orientata alla guerriglia, complice sia il numero di perdite tra le sue file, sia la tecnologia che l’Occidente è in grado di offrire insieme a un maggiore know-how ottenuto dagli ucraini. Attacchi ovunque, a scala ridotta ma in grado di colpire in profondità o minare il morale russo potrebbero essere uno strumento utile per fiaccare eventuali idee offensive russe. Tutto dipenderà dal modo in cui la politica euroamericana sosterrà Zelensky e quanto sia disposta ad accettare di perdere. Putin ha già chiarito che questa guerra, che per lui ha un valore esistenziale, non è disposto a perderla. Al punto da mettere in gioco tutto.