Slitta ancora, per motivi di salute, la tradizionale conferenza stampa di fine anno della presidente del Consiglio. Giorgia Meloni è malata, ma a sinistra c’è chi sostiene con certezza che la premier stia «scappando dai giornalisti», impaurita soprattutto dalla protesta della categoria contro la legge decisa dal governo per regolamentare la pubblicazione degli avvisi di custodia cautelare. «Legge bavaglio», l’ha definita con un eccesso di enfasi la Federazione Nazionale della Stampa, sindacato di sinistra della categoria, che è scesa sul piede di guerra, annunciando sit-in di protesta e scioperi dell’editoria.
Ci uniremmo volentieri alla protesta se le due cose fossero vere, cioè se fossimo di fronte a un caso di censura e se i giornalisti rivendicassero di potere continuare a fare il proprio lavoro con indipendenza, onestà intellettuale e senso di responsabilità. In realtà, in entrambi i casi, non è così. Per prima cosa è bene che si sappia che non sarà vietato dare notizia di arresti né delle loro motivazioni (noi lo faremmo anche a costo della galera), bensì sarà vietato esercitare il diritto dei giornali di mettere alla gogna il malcapitato, facendo da stupidi megafoni al cinico delirio di onnipotenza dei magistrati, che allegano agli atti dell’inchiesta particolari soprattutto intercettazioni che nulla hanno a che fare con l’ipotesi di reato, ma che invadono rovinosamente la vita privata, familiare e professionale degli imputati ancor prima di una verifica, di un processo e di una sentenza.
Certo, i giornalisti da Tangentopoli in poi si erano abituati allo scoop facile e su commissione di qualcuno (magistrati, servizi segreti, parti politiche), a fare carne di porco delle vite altrui (confesso, in passato, a volte, l’ho fatto anche io), scodinzolando attorno alle procure in attesa del biscotto premio. Insomma, più che cani da guardia del potere (missione nobile) siamo stati cani da compagnia di poteri opachi che poco o nulla hanno a che fare con la democrazia, come ormai documentato per tabulas. Tutto questo non ha nulla a che fare con il giornalismo e qui veniamo alla seconda bugia.
Ovvio che uno della libertà fa ciò che meglio crede, ma nel nostro campo la libertà dovrebbe coincidere con verità e indipendenza, cosa che purtroppo non è. Questo governo è stato invece osteggiato, irriso e attaccato con violenza dalla maggior parte dell’informazione italiana ancor prima che prendesse vita ed è stato poi letto e criticato con la lente del pregiudizio, cosa per altro anche legittima se fosse dichiarata invece che mascherata dietro nobili principi e se si riconoscesse alla controparte il diritto alla legittima difesa. Bisognerebbe ammettere che il giornalismo italiano è partigiano come pochi al mondo, che piega i fatti al servizio del pensiero dominante nella classe intellettuale, secondo il quale le destre sono tutte straccione a prescindere e le sinistre la panacea di tutti i mali.
Marco Travaglio, ne ha facoltà, definisce senza un minimo dubbio o cenno di vergogna il governo Conte come «il migliore governo che abbia avuto l’Italia» ed Ezio Mauro, ieri, su La Repubblica, è arrivato, dopo averlo massacrato in vita con ferocia, a rivalutare Silvio Berlusconi che, a differenza di Giorgia Meloni, sarebbe stato così saggio da non sfidare l’Europa. Certo, l’europeismo di Berlusconi (esattamente al pari di quello della Meloni) è fuori discussione, ma Mauro rimuove, per convenienza narrativa, che il Cavaliere affrontò consciamente il martirio politico a Bruxelles la drammatica notte del 23 ottobre 2011, quando si rifiutò di obbedire alla Germania di Angela Merkel e alla Francia di Nicolas Sarkozy che volevano commissariare l’Italia; e come dimenticare quel «la proporrò per il ruolo di Kapò» pronunciato anni prima al Parlamento europeo nei confronti del tedesco Martin Schulz, che voleva mettere becco negli affari interni italiani? No, Berlusconi era attento, non servo, e, all’occorrenza, lo ha dimostrato, ma Ezio Mauro se ne accorge solo ora che gli fa comodo per deliranti paragoni con la Meloni.
Verità storpiate e verità taciute, insieme a furbizie nell’usare le vicende giudiziarie come arma impropria, sono una costante della nostra informazione, che oggi si spaccia per vergine anche se esercita a tempo pieno la professione più vecchia del mondo che, come è noto, non è quella del giornalista.
Noi ci opporremo a qualsiasi interferenza, ma anche alla barbarie mediatica – per di più a senso unico contro una sola parte politica. Chi tra i colleghi ha assecondato e sostenuto, autocensurandosi, tutti i governi di sinistra più quello guidato da Mario Draghi (per lui i giornalisti inaugurarono la prassi degli applausi in conferenza stampa e del mutismo al rifiuto del premier di rispondere a una domanda) non ha oggi alcun titolo di piagnucolare per presunti e infondati soprusi dell’unico governo uscito dalle urne e non da quei giochi di palazzo in cui la «libera stampa» non è mai stata arbitro, bensì, a volte giocatore e altre tifoso ultrà. E recentemente anche medico, in grado di diagnosticare la gravità di una malattia pur non avendo visitato il paziente.