Alla Triennale è allestita la mostra di arte contemporanea più sorprendente di questa stagione. Salendo lo scalone d’onore del palazzo entrerete infatti nel magico mondo di Ron Mueck dove nulla appare nel modo in cui siamo soliti vederlo. La sua arte è fatta di sculture iperrealistiche, impressionanti nella forma e nei dettagli: c’è una donna nel letto, ci sono dei teschi, cani e anche un neonato.
Geniale artista dalla biografia complessa, Ron Mueck è nato 68 anni fa a Melbourne, in Australia, da genitori tedeschi, ma dalla fine degli anni Ottanta vive e lavora nel Regno Unito, prima a Londra e ora sull’isola di Wight dove è riuscito a trovare padiglioni adatti per ospitare le sue prodigiose creazioni, sculture di proporzioni smisurate, che l’artista impiega mesi, talvolta anni a realizzare (in tutta la sua carriera ha concluso meno di 50 lavori). In questa mostra a lui dedicata, la prima in Italia, che Triennale Milano ha confezionato insieme a Fondation Cartier pour l’art contemporain (visitabile fino al 10 marzo), presenta persino un «non finito»: s’intitola «This Little Piggy» e mostra un gruppo di uomini che macellano un maiale. È la prima volta che Mueck concede al pubblico la possibilità di vedere un lavoro in corso d’opera: se ci si avvicina, si colgono i movimenti della sua mano sull’argilla grezza, ancora da definire. Va detto però che delle sei sculture esposte in Triennale quelle più incredibili sono altre: varcato l’ingresso si erge «In Bed», gigantesca rappresentazione di una donna stesa a letto, con la testa sollevata contro i cuscini. È un lavoro del 2005 e appartiene alla collezione permanente della Fondation Cartier: le dimensioni fuori scala di questa scena domestica sembrano volerci catapultare dentro i pensieri della donna. Si gira l’angolo e si rimane ancor più sconvolti dalla monumentale installazione Mass, prestito eccezionale della National Gallery of Victoria, Melbourne, esposta per la prima volta fuori dall’Australia: cento gigantesche sculture di resina bianca a forma di teschio sono accumulate l’una sull’altra e occupano una delle sale più ampie della Triennale. L’installazione gioca sull’ambiguità del termine inglese per cui «mass» significa messa, rito religioso, ma anche mucchio disordinato, massa di persone. Ci si muove nella sala con circospezione: Ron Mueck sa come tenere i visitatori all’erta. Per chi vuole capire qualcosa in più sull’estenuante gestazione di questi lavori, una sala della mostra è dedicata a due film del regista francese Gautier Deblonde realizzati nell’atelier dell’artista australiano. Ci servono per cogliere meglio l’ultima parte della mostra, occupata da uno spettacolare gruppo di tre cani alti tre metri che, nell’opera dal titolo «En Garde», minacciano chi li guarda: tesi, con gli occhi puntati in avanti, paiono la metafora perfetta di questi nostri tempi complessi, e infatti sono stati terminati pochi mesi fa.
Prima dell’uscita, non dimenticate di guardare verso destra dove, appeso alla parete quasi fosse crocifisso, ecco «Baby», una mini-scultura di un neonato appena uscito dal grembo materno, che ci guarda con sfida. È la vita che resiste, nonostante tutto.