Dalla manovra al Patto di stabilità, dal Mes al Ponte sullo Stretto fino al Superbonus. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, confermando quanto dichiarato al Giornale nell’intervista pubblicata domenica 24, ieri ha risposto puntualmente anche alla raffica di domande rivoltegli in Commissione Bilancio alla Camera. L’argomento più caldo è stato il Patto di Stabilità: a chi gli chiedeva se l’accordo raggiunto in sede europea fosse peggiorativo rispetto alle vecchie regole, Giorgetti ha replicato affermando che è frutto di un «compromesso, se verso il basso o verso l’alto la valutazione le faremo tra qualche tempo». Il ministro ha spiegato però che lo scomputo delle spese per gli investimenti strategici è solo parziale perchè molti Paesi hanno rifiutato l’asticella più alta, tuttavia «il successo italiano è nella possibilità dell’allungamento» dei piani di aggiustamento dei conti a «7 anni per coloro che rispettano il Pnrr». E questo aspetto garantisce un automatismo di flessibilità all’Italia, il cui piano avrebbe potuto articolarsi anche su 4 anni con correzioni più brusche dei conti. E dunque il nuovo Patto è sicuramente meglio del vecchio. Questo però «vuol dire che bisogna rispettare il Pnrr», ha ammonito il ministro. A questo poi si aggiunge lo scomputo della spesa per interessi e anche questo non è banale, perchè «l’effetto dei maggiori tassi d’interesse che dobbiamo pagare già oggi avrà una coda che graverà per i prossimi 4-5 anni». Il ministro ha precisato poi che la Nadef è in linea con le prescrizioni delle regole e che «non sono previste manovre aggiuntive». Anche perché il nuovo Patto, dopo il passaggio per il Trilogo europeo, non sarà di fatto operativo prima del 2025. A chi lo incalzava sulla possibilità di porre il veto sul nuovo Patto, Giorgetti ha risposto che anche altri Paesi avrebbero potuto farlo. E che esercitarlo avrebbe portato a «tornare a regole molto peggiori di quelle che il governo si troverà nei prossimi mesi».
Quanto al Mes, Giorgetti ha detto che la mancata ratifica non è «un fallo di reazione» da collegare al Patto di Stabilità, «ma la presa d’atto che per quanto riguarda Unione Bancaria, Mercato dei Capitali, assicurazione sui depositi purtroppo di progressi a livello europeo non se ne fanno». E di non aver mai detto «né in Parlamento nè in Europa nè in nessuna altra sede che l’Italia avrebbe ratificato il Mes». Il Parlamento sovrano, peraltro, ha «votato come avevo anticipato in sede europea». «Il Mes non è nè la causa nè la soluzione del nostro problema che si chiama debito. Avete capito?». Su quest’ultimo punto il ministro ha battuto molto il tasto. «Abbiamo vissuto quattro anni in cui abbiamo pensato che gli scostamenti si potessero fare, che il debito e il deficit si potessero fare e si potesse andare avanti così senza tornare a un sistema di regole». «Ci siamo assuefatti a questo Lsd che abbiamo preso in questi anni». A partire dal Superbonus che è come «una centrale nucleare che ancora non riusciamo a gestire» con «miliardi sottratti alle famiglie». Anche il bonus al 70%, che entrerà in vigore l’anno prossimo, «vi assicuro che visto da fuori è tantissimo».
Quanto alla manovra, l’esame del Senato ha prodotto cambiamenti che nel complesso hanno «migliorato tutti i saldi di finanza pubblica». Lo sforzo è stato sul taglio al cuneo fiscale per i «lavoratori dipendenti con redditi medio bassi, in modo che avessero più risorse da spendere». Ed è arrivata la risposta a chi criticava la scelta di destinare perte dei fondi Ue di Sicilia e Calabria a finanziare il Ponte sulle Stretto. Rispetto al disegno originario della manovra, «è stata modificata la spalmatura» del finanziamento. «Non trovo però niente scandaloso che il fondo di sviluppo e coesione delle regioni interessate dia un contributo».