Quasi 5,6 miliardi di euro di debiti. Questo è lo stato di salute del nostro calcio, cifre già conosciute ma ignorate con disinvoltura, e forse interesse, da molti media, eccitati invece dal fare propaganda sul mercato, sulle trattative, gli acquisti, i progetti. Citando Ungaretti si potrebbe scrivere «allegria di naufragi»: quella è una raccolta di splendide poesie, questa è una commedia assurda che trova, nei conti relativi all’Inter, una conferma clamorosa e terribile perché priva di una via di uscita.
I debiti della serie A sono il doppio di quelli della Premier League, i salari dei club italiani rappresentano l’84% del fatturato, se alcuni costi sono diminuiti, i ricavi sono crollati e si sono registrati nell’ultima stagione ricapitalizzazioni per 1.170 milioni. Limitandoci soltanto a cinque società, Napoli, Lazio, Inter, Milan e Juventus, il loro indebitamento lordo è di 2 miliardi 417mila euro, il club di Elkann ha 219 milioni di debiti verso altre società, i debiti tributari della Lazio sono 95 milioni, quelli del Napoli 32 milioni.
Il sistema calcio è in mano alla finanza, gli investitori stranieri non sono attratti dalla serie A, così come lo sono invece per i tornei inglese, francese e spagnolo. L’assenza di grandi protagonisti, richiamo necessario per sponsor e diritti tv, è stata appena attutita dai risultati dei nostri club nelle competizioni europee, ma resta la sensazione, direi la certezza, che il livello del management del calcio sia «under performance», non aggiornato, legato a schemi, privilegi e abitudini dai quali non riesce a liberarsi, anzi peggiorando nell’immagine rispetto alle grandi realtà europee.
La situazione Inter è nota a tutti da tempo: conclusasi l’epoca dorata di Massimo Moratti, la società, sofferente a livello finanziario, è scivolata in basso, oggetto di speculazioni continue; per fortuna la squadra ha mascherato, con i risultati agonistici, la devastazione contabile che, stranamente, non viene affrontata dalle procure, dagli organi calcistici di controllo. Ma, si badi, non è unica: la Juventus ha pagato e ancora pagherà per gli scriteriati sistemi di gestione, il Verona è sotto inchiesta con le azioni sequestrate al presidente Setti, altri club sono in border line alla ricerca di finanziamenti stranieri, altri sopravvivono in una zona di conforto precario, gli epiloghi drammatici del Parma di Tanzi, della Lazio di Cragnotti, insieme con altre vicende che hanno visto cambi di proprietà, Fiorentina, Bologna, Roma, Sampdoria, Genoa, Salernitana, sono il riassunto di un Titanic a bordo del quale si continua a danzare e, per portare un esempio meno tragico suggeritomi da un collega inglese, i dirigenti del nostro calcio presumono di giocare al casinò senza un euro da mettere sui tavoli, anzi già segnalati e noti come insolventi.
L’anno solare si conclude nella fitta nebbia contabile e tra segnali di allarme, ma dal primo di gennaio riaprirà il calcio mercato. Come diceva Flaiano, la situazione è grave ma non è seria.