In un suo recente articolo, il Washington Post ha scritto che l’immigrazione sta assumendo un peso decisivo nel dibattito pubblico europeo al pari dell’effettivo aumento degli arrivi di migranti irregolari nel 2023.
L’immigrazione irregolare come chiave
Il caso francese è in questo senso esemplare. L’ultima legge approvata da Emmanuel Macron con il favore del Rassemblement National, il partito di Marine Le Pen, è il simbolo di come il tema del freno all’immigrazione irregolare unito alla percezione di insicurezza possa essere un enorme volano della politica continentale. Le frasi del capo dell’Eliseo rilasciate a France 5 aiutano a capire meglio il punto. “Quando voi vivete in un quartiere popolare, quando avete dei problemi di sicurezza, quando ci sono le conseguenze dell’immigrazione clandestina, allora siete a favore di questa legge. Alle persone che stanno nei quartieri a rischio chiedete perché stanno con l’estrema destra” ha detto Macron.
L’inciso finale fa comprendere meglio un doppio meccanismo di questa dinamica. Da un lato c’è la presa di coscienza di un tema rimosso o sottovalutato da parte del mondo di centrosinistra e di sinistra (in Francia come altrove), cioè quello della sicurezza. Dall’altro lato, c’è anche la volontà di evitare che l’insicurezza diventi una gigantesca fucina di voti per le destre più radicali.
Il tema della sicurezza
Il problema si è fatto sentire con urgenza anche nell’Unione europea, dove si è corso ai ripari con il nuovo Patto sulle migrazioni e il diritto d’asilo che non solo corregge il vecchio accordo di Dublino, ma prevede anche un nuovo meccanismo di solidarietà all’interno dell’Ue. L’intesa politica, come suggerito dal presidente del Gruppo del Partito popolare europeo al l’Eurocamera, Manfred Weber, nasce dal fatto che “gli elettori di tutto lo spettro politico si aspettano che l’Europa mantenga arrivi più bassi e controlli più forti alle frontiere esterne“. E questa dichiarazione indica anche la volontà del mondo moderato di fare propria la battaglia sulla difesa delle frontiera e sulla solidarietà evitando che essa si trasformi in una bandiera esclusiva del blocco sovranista.
A tal proposito, basti pensare alle parole di Sandro Gozi di Renew Europe, nonché segretario generale del Partito democratico europeo, che su X ha scritto che “con l’accordo sul Patto asilo-migrazione l’Unione europea risponde alla pressante richiesta dei cittadini e alla propaganda nazionalista dell’estrema destra“. Il segnale dunque è che l’intero spettro politico europeo stia riflettendo su quello che è uno dei grandi punti interrogativi della socialdemocrazia del Vecchio Continente: coniugare sicurezza e diritti senza che il primo tema diventi appannaggio della destra.
Questo indica che molti partiti politici fuori dal blocco sovranista iniziano a volere comprendere il flusso che ha portato a ingrossare le file dei maggiori partiti conservatori europei dimostrato in quest’ultimo anno. Dall’Italia alla Francia fino alla Germania, è evidente che il rafforzamento di certi partiti sia anche la conseguenza di uno scollamento su determinati temi, come appunto il contrasto all’immigrazione clandestina. E anche diversi partiti non sovranisti, come il Partito popolare spagnolo o il Partito conservatore britannico, hanno in qualche modo fatto i conti con questo nuovo grande tema elettorale, così come lo sta affrontando la Cdu in Germania.
Battaglie apparse distanti
Se la difesa dei confini rimane un nodo cruciale per la sinistra per intercettare il voto popolare, esistono poi altri punti che sembrano avere sorpreso il mondo progressista europeo. Uno di questi elementi è stato probabilmente quello di concentrarsi su battaglie considerate non solo distanti dai ceti più bassi, ma anche sostenute da personalità ritenute diverse dall’elettore medio.
L’esempio di Donald Trump negli Stati Uniti doveva essere in questo senso una lezione importante: l’ex tycoon odiato dal jet-set ha trasformato questa opposizione di attori, influencer, cantanti e uomini della cultura in una formidabile arma di propaganda. Non tutto è polarizzato come in America, ma esistono in effetti elementi per dire che questa dinamica si è spesso ripetuta anche in Europa.
La crisi economica e il richiamo all’identità
Un altro elemento da non sottovalutare è il rafforzamento di meccanismi sociali che in periodi di crisi portano gli elettori a evitare slanci in senso progressista o universalista. In questo senso, interessanti appaiono i risultati del programma di ricerca Loss (che si può leggere sul sito della Università Bocconi) sul sostegno alle politiche conservatrici in momenti di crisi. Uno dei risultati osservati è che “quando le persone subiscono una perdita socio-economica e si sentono ridotte nel loro status, tendono a compensare mettendo in primo piano altre parti della loro identità“, come può appunto può essere l’appartenenza nazionale. Inoltre, “le difficoltà suscitano preoccupazione per la competizione per le risorse pubbliche con i non nativi” e “la sinistra universalistica perde appeal elettorale“.
L’influenza della politica estera e della guerra in Ucraina
Ai fattori di crisi si aggiunge poi la percezione di una parte dell’elettorato – estremamente rilevante in termini numerici – sugli errori commessi da alcuni governi riguardo scelte strategiche. Non ultimo sui rapporti con la Russia. Non è un mistero che gli effetti economici della frattura tra Europa e Mosca abbiano avuto un peso rilevante nel sostegno dell’opinione pubblica ad aiutare finanziariamente e militarmente l’Ucraina.
Molti governi sono ora sotto la lente d’ingrandimento di un elettorato che appare diviso ideologicamente e non così fermo nel sostenere la fine dei rapporti con la Federazione Russa, specialmente a seguito dei rialzi nel settore energetico. Ed è proprio questo fattore che ha caratterizzato, per tutto l’anno in corso, le idee degli analisti sull’interesse di Valdimir Putin nel prolungare il conflitto, congelandolo in questo limbo. Alcune avvisaglie sono state già viste in Europa orientale, sia a livello elettorale che sociale. E come mostrano i sondaggi in Francia e Germania, l’impressione è che le elezioni europee possano essere un giro di boa anche in questo senso visto che i maggiori partiti sovranisti a Berlino e Parigi hanno posizioni meno rigide nei riguardi di Mosca.