Mentre gli uomini delle Idf avanzano nel cuore di Khan Younis, la roccaforte dei terroristi nella Striscia, prosegue senza sosta il dialogo diplomatico per arrivare ad una nuova tregua. Secondo l’emittente Asharq, con sede a Ramallah in Cisgiordania, l’Egitto avrebbe proposto un accordo di cessate il fuoco alla delegazione di Hamas giunta al Cairo e guidata dal capo politico Ismayl Haniyeh.
L’intesa ruoterebbe attorno a tre punti fondamentali: un cessate il fuoco di due settimane e il rilascio di quaranta ostaggi israeliani, principalmente donne, bambini e adulti malati; la liberazione di 120 prigionieri palestrinesi dalle carceri ebraiche, mantenendo quindi il rapporto di tre a uno già visto durante la tregua precedente; l’assenso, da parte di Tel Aviv, all’ingresso di consistenti aiuti umanitari a Gaza, compresi carburante e gas. Di un accordo simile si era già parlato mercoledì 20 dicembre. Il Times of Israel aveva infatti riportato che Qatar e Israele stavano discutendo della possibilità di una settimana di tregua sempre in cambio di quaranta ostaggi. Alcuni media internazionali avevano riferito lo scetticismo dei funzionari di Tel Aviv riguardo a questa proposta, mentre da parte palestinese si era parlato di “una svolta nei prossimi giorni”. Poche ore dopo, però, Hamas aveva comunicato il suo rifiuto, sostenendo avrebbe dato il suo assenso solo in caso di stop completo alla guerra.
L’ipotesi di una pausa nei combattimenti era stata ventilata anche alle Nazioni Unite, ma nella risoluzione proposta dagli Emirati Arabi Uniti e votata il 22 dicembre dal Consiglio di sicurezza vi è solo una menzione al raggiungimento di “una cessazione sostenibile delle ostilità”. Gli Stati Uniti, infatti, hanno discusso a lungo con la delegazione di Abu Dhabi per far rimuovere dalla bozza qualunque riferimento a una tregua indefinita, che secondo la Casa Bianca andrebbe solo a vantaggio di Hamas. Il presidente americano Joe Biden e gli alleati occidentali continuano comunque a fare pressioni su Israele affinché si arrivi ad una pausa che permetta l’ingresso di aiuti umanitari e la liberazione degli ostaggi.
Un’interruzione momentanea dei combattimenti potrebbe anche giocare a favore del premier Benjamin Netanyahu. Il suo Paese è a favore del conflitto e dell’eradicazione definitiva di Hamas, ma i familiari dei rapiti continuano a manifestare per le strade di Tel Aviv, chiedendo un accordo con i terroristi che permetta di riportare a casa i loro cari. La situazione per il governo di emergenza si è ulteriormente complicata a seguito dell’uccisione per errore di tre ostaggi da parte di soldati delle Idf. Al momento, però, la diplomazia arranca e sembra sempre più difficile che il 2023 si chiuda senza il rumore delle esplosioni e le scie dei missili nei cieli del Medio Oriente.