Sui social è in silenzio da giorni, come non accadeva da quando Instagram non esisteva ancora. Si saranno resi conto i «Ferragnez» e lo staff – che a parlare, a volte, si peggiora la situazione? Si sa che quasi niente nasce per caso. E quella sul «Pandoro-gate» non è da meno, anche se il fascicolo è una necessaria conseguenza dell’esposto-querela di un paio di associazioni di consumatori. A far rizzare le antenne agli inquirenti è stato infatti il video in cui Chiara Ferragni si scusa della (finta) beneficenza. Possibile che proprio l’imprenditrice, che ha costruito un impero di follower e milioni sulla sua immagine 2.0, si sia auto-inguaiata? Sì, è possibile. «Me lo ha fatto vedere mio figlio», ammette una autorevolissima fonte dell’inchiesta. Ed è qui che l’inquirente, che ha diversi lustri di carriera alle spalle, ha sentito puzza di bruciato. Ciò che sembrava perfetto perché studiato nei minimi dettagli la voce rotta, il tutone grigio (non facciamoci ingannare dall’aspetto: costa 600 euro), le lacrime di ordinanza – in realtà perfetto non era. Al punto che la stessa fonte si chiede se Ferragni si sia consultata con un avvocato, prima di fare partire il video.
«Mi sono resa conto di avere fatto un errore di comunicazione. Un errore di cui farò tesoro in futuro dice lei dopo la multa dell’Antitrust per le sue società e per Balocco da 1,4 milioni – separando qualsiasi attività di beneficenza che ho sempre fatto e che continuerò a fare, dalle attività commerciali». Già perché è in quel «separando» che sta il cuore di tutta la questione, che ora riguarda anche le uova pasquali rosa con l’occhio azzurro. Era un’attività prettamente commerciale quella dei Pink Christmas? E quanta consapevolezza c’era, quando Ferragni ha prestato la sua immagine, dell’inganno per i consumatori che hanno comprato il pandoro rosa al triplo del prezzo?
Tutte domande a cui dovrà rispondere la Guardia di finanza a cui sono state delegate le indagini nel fascicolo, per ora solo conoscitivo e che a breve presumibilmente verrà aperto dal procuratore aggiunto Eugenio Fusco a «modello 44», con l’ipotesi di frode in commercio, più che di truffa come da esposto di Codacons e Assourt (associazione che tutela gli utenti di radio e tv). E che verrà esteso anche alle uova Cerealitalia, proprietaria di Dolci Preziosi, in cui Ferragni ha percepito cachet da decine di migliaia di euro a fronte di una donazione per l’azienda da 36mila euro all’associazione «I bambini delle fate». E chissà che non diventi un’inchiesta pilota su iniziative simili da parte di altri influencer. Resta comunque da chiedersi che cosa sia cambiato nel volto pubblico della coppia, che ha da sempre intrapreso la strada del rigoroso silenzio ogni qual volta abbiano dato mandato ad avvocati di tutelarla. Da quando nel 2016 Fedez finì dal giudice di pace per un paio di schiaffi volati col vicino di casa (fu prosciolto) e mai parlò pubblicamente della vicenda, fino alla recente querela per la giornalista Selvaggia Lucarelli finita indagata a Milano perché definì il rapper «bimbominkia» su Instagram. I Ferragnez ora parlano, e forse straparlano, dagli strali nei confronti del Codacons, al caso dei pandoro-rosa con il video-boomerang in cui la pezza è stata, oggettivamente, peggio del buco. E ora il manager di Ferragni, Fabo Maria Damato, è a rischio: Fedez vorrebbe esautorarlo.