L’Onu ha approvato ieri un sostanzioso pacchetto di aiuti alla popolazione civile di Gaza. Legittimo, per carità, e lo è anche se filmati recuperati dagli israeliani documentano come buona parte di quella popolazione il 7 ottobre scese in piazza per festeggiare il rientro alla base dei terroristi palestinesi che avevano appena compiuto la strage più cruenta del dopoguerra con oltre mille civili israeliani inermi giustiziati a freddo nel giro di poche ore. Ma andiamo oltre. L’Onu ha da tempo dispiegato in quell’area uno dei suoi più numerosi contingenti di assistenza umanitaria, tredicimila dipendenti a Gaza e altri quattromila in Cisgiordania. La domanda è: come è possibile che nessuno di questi «inviati di pace» abbia avuto il minimo sentore di ciò che stava accadendo? Come è possibile che nessuno di loro si sia accorto che Hamas stava costruendo una città sotterranea fatta di decine di chilometri di cunicoli con bunker riempiti di armi e munizioni?
E ancora. Gli israeliani entrati a Gaza hanno scoperto, e mostrato al mondo, come alcune di quelle gallerie siano un capolavoro di ingegneria e tecnologia, il che presuppone il coinvolgimento di personale civile altamente specializzato e di molta manodopera, oltre che di enormi investimenti. Cosa che, come ha ricordato di recente Paolo Mieli sul Corriere della Sera, stride con la miseria economica, umana e urbanistica della Gaza alla luce del sole che tutti noi ben conosciamo.
Insomma, il dubbio fondato è che gli aiuti umanitari convogliati negli ultimi anni a Gaza siano finiti per finanziare e alimentare interventi che di umanitario avevano ben poco, come ben si è visto il 7 ottobre. E che ciò sia potuto succedere grazie anche alla distrazione, per usare un eufemismo, del sostanzioso contingente Onu presente sul posto.
Noi siamo certamente felici che riprenda il flusso di aiuti ai civili, pur sapendo che per lo più stiamo parlando di persone che sono state quantomeno complici materiali e politici della preparazione della strage. Ma abbiamo molti dubbi che l’Onu oggi abbia la credibilità per gestire in modo corretto e trasparente un’operazione umanitaria che non vorremmo si trasformasse, nelle sue mani, nell’ennesimo aiuto incondizionato a chi nega il diritto all’esistenza di Israele e che facendo leva sull’orrore della guerra sta semplicemente cercando il modo di riorganizzarsi, per tornare quanto prima a colpire con rinnovata ferocia.