Uno dei segreti di Pulcinella del mondo dello sport è che le vite dei campioni, una volta che si spengono le luci della ribalta, non sono certo un esempio in quanto a moderazione e buonsenso. Talvolta, però, gli eccessi dei grandi dello sport arrivano a livelli davvero incredibili. I retroscena che racconta Jan Ullrich nel documentario da poco disponibile su Prime Video sono davvero scioccanti: dall’uso smodato di alcool e droghe fino alle sfide assurde come provare a battere il record mondiale di sigarette fumate in una sola giornata. Un quadro fin troppo onesto, a tinte fortissime, di uno dei campioni più grandi di un’epoca molto controversa del ciclismo.
La caduta del Kaiser
Gli amanti delle due ruote impararono ben presto ad apprezzare la potenza e determinazione del ciclista tedesco, che passò nel giro di pochi anni da promessa interessante a primo rappresentante della nazione di Goethe a trionfare agli Champs Elysées. Niente sembrava in grado di fermare la corsa dell’atleta di Rostock, che aveva iniziato a correre per imitare il fratello maggiore. Dopo il trionfo al Tour nel 1997 sarebbero arrivati altri trionfi, incluso l’oro olimpico di Sydney e le infinite sfide con due altri campioni che di lì a non poco sarebbero stati travolti da scandali, Marco Pantani e Lance Armstrong. Se gli appassionati pensavano che i problemi col peso che lo tennero più di una volta lontano dal podio in gare importanti fossero dovuti alla passione per il cibo, la storia che il campione anseatico racconta nel documentario The Hunter è molto più preoccupante. Ben prima degli infortuni, del coinvolgimento nell’Operaciòn Puerto e delle squalifiche, Ullrich era perseguitato da due demoni: la depressione e la dipendenza da alcool e droghe.
Alcune delle vicende che l’atleta racconta nel documentario riguardano gli anni migliori, quelli nei quali sembrava in grado di dominare il mondo delle due ruote. Gli eccessi peggiori, quelli mai trapelati dal fortino della Deutsche Telekom, furono proprio in quel periodo: “Non ho bevuto per nove mesi, ma un giorno ho bevuto un bicchiere e dopo un po’ ho perso il controllo. Sono passato dal vino al whisky. Prima un bicchiere al giorno, poi due. Ero un atleta di alto livello e ciò mi ha permesso di vincere un Tour ma anche di andare nella direzione opposta. Potrei bere più whisky e inalare sempre più cocaina. Molte persone si sarebbero suicidate, ma il mio corpo ha resistito”. Come ammesso recentemente da Armstrong, l’ambiente del ciclismo non era affatto salutare e gli eccessi erano all’ordine del giorno. Dietro la facciata vincente, luminosa, Ullrich stava vivendo un inferno privato: “In quel periodo, ogni giorno era una questione di vita o di morte. Io personalmente non stavo per nulla bene. Si faceva uso di molta cocaina, bevevo whisky come se fosse acqua, fino a quando sono stato vicino alla morte”.
700 sigarette in un giorno
Ci sono molti episodi curiosi che Ullrich racconta nella docu-serie disponibile in Italia su Prime Video con il titolo La sfida ma quello che ha attirato più l’attenzione di media e tifosi è legato ad una delle tante sfide che il campione tedesco si inventava. “Inventavo delle sfide. Una volta volevo stabilire un record mondiale: ho fumato più di settecento sigarette in un giorno. È un mistero come ho fatto a resistere così a lungo”. Che il campione tedesco avesse avuto una carriera complicata ce n’eravamo resi conto tutti, ma la cosa che sorprende di più è sapere come il rapido declino che arrivò negli ultimi due anni della carriera abbia lasciato tracce pesanti sulla psiche dell’atleta. La storia che racconta è simile a quella di tanti altri grandi che non hanno vinto quanto avrebbero potuto nella loro carriera. “Nel 2006 caddi dal piedistallo di favorito per vincere il Tour. Sono passato di colpo da purosangue a cavallo da traino. Questo è difficile e mi fa ancora male. Mi creo problemi per i miei errori e debolezze. Ero in cima, sono caduto all’inferno e ora lotto per stare in mezzo”.
La depressione strisciante con la quale aveva lottato per tutta la carriera tornò a colpire in maniera più dura dopo aver appeso il casco al chiodo, al punto da fargli considerare più volte il suicidio. “Nel 2018 ero davvero depresso. Da ciclista ho sofferto, ma a carriera finita quella sofferenza è andata nella direzione sbagliata. Nel 2018 ero al punto più basso, con tutto quello che una persona può sopportare fisicamente e mentalmente. Il passo successivo sarebbe stato la morte”. La cosa veramente positiva di questa vicenda è che, grazie alla sua onestà, questo documentario può aprire spiragli importanti nella psiche di quei campioni che, dipinti come eroi senza macchia e senza paura, in realtà nascondono fragilità insospettabili. La speranza di tutti gli amanti del ciclismo è che, come successo in passato a tanti altri campioni “maledetti”, il Kaiser riesca a ricacciare indietro i demoni, perdonarsi per gli errori commessi e ritrovare la serenità. Questa per lui sarebbe forse la vittoria più grande.