Sono passati quattro mesi dalla morte del capo della Wagner Evgenij Prigozhin, ma i misteri e le voci sulla sua scomparsa non conoscono tregua. Dall’incidente misterioso al funerale privato, passando per la sepoltura dimessa e l’assenza di Putin ai funerali, la morte dell'”ex chef di Putin” torna a inquietare i corridoi del Cremlino.
La verità del Wsj: Patrushev è il responsabile dell’omicidio Prigozhin
A sparigliare le carte, ora, è un articolo del Wall Street Journal che punta il dito contro uno dei siloviki di più alto rango: il 72enne Nikolai Patrushev, fedelissimo d’acciaio che ha servito come Direttore del Servizio di sicurezza federale russo. Promosso a segretario del Consiglio di sicurezza nazionale russo nel 2008 dallo stesso Putin, Patrushev per più di due decenni è stato la seconda persona più potente in Russia, afferma il Wsj. Secondo l’articolo, Patrushev iniziò a mettere in guardia Putin su Prigozhin già durante l’estate 2022.
Tuttavia, i grandi risultati sul campo avevano indotto il Cremlino a lasciar correre, come dimostra la perpetrata tolleranza dello zar nei confronti delle levate di testa del capo dei mercenari. L’attentato sarebbe stato preparato per due mesi e “approvato dal più antico alleato e confidente del presidente russo“. Le accuse proverrebbero da funzionari dell’intelligence occidentale e da un ex ufficiale dell’intelligence russa. Mosca, dal canto suo, rispedisce le accuse al mittente, bollando l’intera narrazione come “pulp fiction“, nelle parole del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov.
Perchè Patrushev voleva Prigozhin morto
In seguito alla “marcia della giustizia” e al suo ammutinamento, Prigozhin sarebbe diventato definitivamente un obiettivo da eliminare secondo Patrushev. Una scelta sulla quale Putin non avrebbe avuto nulla da obiettare. Nel corso dei mesi, sarebbe andata chiarendosi anche la dinamica dell'”incidente”: in attesa dei consueti controlli di sicurezza, un ordigno sarebbe stato piazzato sotto l’ala dell’Embracer Legacy 60 prima che questo ripartisse dall’aeroporto Sheremetyevo. Le testimonianze d’intelligence raccontano che nella cerchia ristretta di Putin, l’atteggiamento del leader della Wagner aveva ormai fatto alzare più di qualche sopracciglio per almeno due ragioni: le contestazioni a viso aperto contro Putin e il duo Shoigu-Gerasimov, ma soprattutto l’ascesa di cui era stato portagonista sul campo, mettendo nell’ombra numerosi fedelissimi di Putin destinati a succedergli in un futuro prossimo.
L’eventuale svolta politica o ricollocazione di Prigozhin in altre vesti, aveva caricato l’acrimonia nei suoi confronti. Poi, nel giugno scorso, l’ammutinamento: Putin affida proprio a Patrushev la supervisione dei fatti legati alla marcia della Wagner, ed è proprio in questo contesto che sarebbe nato il piano. Putin non vi si oppose, e il silenzio sarebbe bastato come consenso all’operazione.
Prigozhin l’intoccabile?
Da quando il Cremlino aveva ormai confermato i suoi rapporti con la Wagner e Prigozhin, dal suo antro buio della storia, era venuto allo scoperto, il leader dei mercenari russi si era preso delle libertà consentite soltanto a lui e Ramzan Kadyrov. Prigozhin, dalla primavera scorsa, aveva iniziato a criticare quotidianamento l’ammministrazione Putin: le reprimenda andavano dalla tattica sul campo alla censura, passando per gli scarsi rifornimenti ai suoi soldati.
I toni erano andati esacerbandosi ulteriormente attorno alla questione su chi avesse davvero preso Soledar, scagliandosi contro “la corruzione, la burocrazia e gli ufficiali che vogliono mantenere i loro incarichi…Rubano in continuazione la vittoria alla Wagner”, aveva scritto ancora Prigozhin, riferendosi al ministero della Difesa che non aveva menzionato i suoi uomini nell’importante battaglia. In quell’occasione Mosca si era perfino “piegata” a approntare un discorso dell’ultimo minuto per ringraziare i soldati della Wagner, mettendo in imbarazzo il portavoce Peskov.
Da allora, erano seguiti una serie di video su Telegram, attraveros i quali il capo della Wagner, quasi quotidianamente prendeva di mira lo zar e i suoi accoliti: il più cruento, quello in cui urla contro il sistema, facendosi ritrarre tra i cadaveri dei suoi uomini trucidati. Ma oltre a bersagliare Mosca di critiche e insulti, Prigozhin aveva fatto molto di più: si era spinto a lodare i soldati ucraini sul campo per il modo in cui stavano combattendo. Un’onta per il Cremlino, che ha poi lasciato fare, finchè ha potuto, sapendo di aver con Prigozhin un enorme debito di guerra.