Nei giorni scorsi i quotidiani ci hanno informano che in un pubblico dibattito il prof. Nicolò Zanon (nella foto) ha mosso gravissime accuse nei confronti della nostra Corte costituzionale di cui lui stesso è stato componente fino a qualche settimana fa. Con riferimento ad un giudizio della Corte su un conflitto di competenza sollevato dal Csm nei confronti del Parlamento, Zanon, che a quel giudizio aveva partecipato, ha ricordato che la Corte Costituzionale aveva volutamente e intenzionalmente dato ragione al Csm, contraddicendo i suoi stessi precedenti giurisprudenziali relativi all’interpretazione dell’art. 68 della Costituzione in materia di tutela della libertà di espressione dei parlamentari. Favorendo volutamente una delle parti in giudizio la Corte era venuta quindi meno al suo obbligo di terzietà tra le parti in conflitto ed al suo dovere di imparzialità. Un evento che, stando a quanto Il Foglio fa dire al prof. Zanon, «fece inviperire» i giudici che non erano d’accordo con la maggioranza della Corte e indusse il giudice relatore di quel caso, il prof. Franco Modugno, a rifiutare di redigere le motivazioni della sentenza, lasciando tale compito ad un giudice della maggioranza.
Occorre innanzitutto ricordare al lettore che, a differenza di quanto avviene per gli altri organi giudiziari, le decisioni delle Corti Costituzionali sono inappellabili. Per rendere concreti gli stimoli all’autocontrollo dei giudici costituzionali numerosi Paesi (come Stati Uniti, Germania, Spagna, Australia) e anche la Corte europea dei diritti dell’uomo hanno, tra l’altro, adottato l’istituto della opinione dissenziente (dissenting opinion) con il quale si consente ai giudici costituzionali che nei singoli giudizi rimangono in minoranza non solo di motivare il loro dissenso e di fornire circostanziate e diverse interpretazioni delle norme costituzionali ma anche di veder pubblicate le motivazioni delle loro opinioni dissenzienti.
La prospettiva stessa di vedere contraddette le proprie scelte interpretative da altri giudici della stessa corte, induce tutti i giudici ad un autocontrollo nell’uso della discrezionalità interpretativa di cui dispongono. Se da un canto l’istituto della dissenting opinion ha l’obiettivo di promuovere il self restraint dei giudici costituzionali dall’altro serve anche ai cittadini per meglio valutare il lavoro della Corte, per conoscere quanti sono i casi in cui si sono manifestati sostanziali ragioni di dissenso e benefici (o i danni) che possono discendere dalla varie interpretazioni; eventualmente anche a giudicare se il passato politico dei singoli giudici o le modalità con cui sono stati scelti possa aver influito sulle loro decisioni.
Sono strumenti e funzioni di trasparenza del tutto estranei alla nostra Corte Costituzionale. Le sue sentenze vengono sempre presentate come fossero unanimi. Nessun rilievo o effetto condizionante ha potuto quindi avere nel caso dianzi citato il disaccordo del giudice Zanon e di alcuni altri giudici costituzionali.
Va subito aggiunto che il voto dissenziente non è vietato dalla nostra Costituzione. A favore della sua adozione si sono espressi in passato giudici della nostra Corte costituzionali e grandi giuristi come Costantino Mortati e Giuliano Vassalli.
*Professore emerito di Ordinamento giudiziario dell’Università di Bologna