Il tribunale di Roma ha condannato a tre anni e mezzo di reclusione Vincenzo Ricciardi e ha assolto Matteo Rabbone dall’accusa di omicidio colposo per la morte di Francesco Positano, il caporalmaggiore dell’esercito che perse la vita ad Herat, in Afghanistan, il 23 giugno 2010 nel corso di una missione di perlustrazione. Il soldato di origini foggiane morì schiacciato da un mezzo blindato militare, il Buffalo, mentre era impegnato in una missione di pace nel Paese asiatico. Sceso dal mezzo per verificare un possibile problema sul blindato, Positano venne travolto dal Buffalo durante una manovra sbagliata da parte del guidatore. Errore in seguito ostinatamente negato da quest’ultimo. La relazione redatta dai responsabili militari di allora parlò di un incidente causato da un malore patito dal caporalmaggiore, legato probabilmente ad uno sbalzo di temperatura.
Il pubblico ministero Erminio Amelio, davanti al giudice monocratico di Roma, alla scorsa udienza aveva sollecitato per entrambi gli imputati la condanna a cinque anni. La sentenza del tribunale ha però colpito, in maniera più soft rispetto alle richieste, solo l’ex ufficiale responsabile del plotone, mentre ha dichiarato l’innocenza per l’autista del mezzo. Con la sentenza odierna è stata disposta anche un provvisionale di 155mila euro per i familiari costituiti come parte civile.
“Dopo 13 anni e mezzo di sofferenze è arrivata una risposta decisiva” le parole all’Adnkronos di Luigi e Marco Positano, padre e fratello del caporalmaggiore morto ad Herat. Gli avvocati Lucia Frazzano e Annarita Annarita Antonetti, che assistono la famiglia, hanno evidenziato che la sentenza del tribunale capitolino dimostra che una responsabilità nella morte del caporalmaggiore c’è: “È la prova La prova che avevamo visto giusto dall’inizio. Ora attendiamo di leggere le motivazioni”.
Il giudice ha inoltre disposto l’invio degli atti in procura, come chiesto dal pm Amelio, in relazione alle testimonianze di alcuni dei militari sentiti in aula nel corso del processo. Nel corso dell’ultima udienza il pubblico ministero Erminio Amelio, ricordando le testimonianze in aula, aveva parlato di una “vera e propria attività di depistaggio in senso lato per un malinteso spirito di corpo”. Per il pm, fu redatta una “relazione scandalosa dai responsabili militari di allora, hanno nascosto e stanno nascondendo la verità. Hanno riferito che Positano cadde dal blindato perché colpito da un malore. La famiglia però non si è arresa e ha intrapreso la battaglia per ottenere giustizia, non avendo alcun supporto o riconoscimento dall’esercito. La madre di Positano cercava la verità ma ha avuto solo porte sbattute in faccia”. Secondo l’accusa è stato fatto di tutto per mettere una toppa per chiudere il buco: da questo punto di vista non è mancato un riferimento al caso di Stefano Cucchi, morto il 22 ottobre del 2009 mentre era sottoposto a custodia cautelare.