La sposa-bambina è stata uccisa nel nome dell’islam. Non è stato un crimine politico o culturale, ma religioso. Tutta la breve e straziante vita di Samira Sabzian, costretta a sposarsi a 15 anni, che si è ribellata al marito-aguzzino uccidendolo a 19 anni, madre di due figli visti una volta in 10 anni di carcere poche ore prima di essere impiccata ieri all’alba a Teheran, si è svolta conformemente a ciò che Allah prescrive nel Corano e a ciò che ha detto e fatto Maometto.
È sbagliato immaginare che l’atroce crimine possa essere addebitato al regime teocratico degli ayatollah in Iran in quanto rappresentante di una entità politica distinta, sostanzialmente diversa da altri Stati che concepiscono il Corano come propria Costituzione e la Sharia, la legge islamica, come unica fonte del Diritto, quali l’Arabia Saudita e l’Afghanistan. Così come sarebbe riduttivo attribuirlo a tradizioni legate alle condizioni di vita tribali, rimaste impermeabili alla civiltà che mette al centro la vita, la dignità e la libertà.
È vero che l’islam ha recepito il retaggio culturale tribale e che la Sharia si è istituzionalizzata politicamente, ma è la dimensione religiosa dell’islam, che si sostanzia del Corano e di Maometto, ciò che costituisce il fulcro della realtà che governa gli Stati islamici e che condiziona questa Europa sempre più scristianizzata e succube dell’islam. È l’islam che legittima che una bambina dall’età di 9 anni può essere data in sposa e prestarsi sessualmente; il matrimonio combinato e imposto dai genitori; la poligamia che accorda il diritto dell’uomo di avere fino a 4 mogli contemporaneamente più tutte le schiave che può permettersi; la concezione della donna come essere antropologicamente inferiore all’uomo; il destino della donna come schiava sessuale totalmente sottomessa e sempre pronta a soddisfare il marito; l’uccisione dell’omicida o, in alternativa, il «prezzo del sangue», una somma in denaro accettata come compensazione dai familiari della vittima. Maometto all’età di 50 anni sposò una bambina di 6 anni, Aisha, la figlioletta del suo migliore amico, e la deflorò a 9 anni. Dato che Maometto è il «modello» del comportamento dei musulmani, l’islam legittima la pedofilia consentendo ai maschi di avere spose-bambine di 9 anni. Maometto ha così spiegato l’obbligo delle donne di sottomettersi alle voglie sessuali del marito: «L’ingratitudine delle donne si manifesta anche quando si rifiutano di fare l’amore con i loro mariti, con il pretesto che la notte prima ha fatto l’amore con un’altra moglie o con una schiava. Ma io l’ho predicato dall’alto della mia sedia in moschea: «Quando una donna trascorre la notte al di fuori del letto di suo marito, gli angeli la maledicono fino alla mattina…». Per Allah le donne sono un oggetto sessuale a disposizione del marito: «Le vostre spose per voi sono come un campo. Venite pure al vostro campo come volete, ma predisponetevi; temete Allah e sappiate che lo incontrerete. Danne la lieta novella ai credenti!» (2, 223)
Per Allah il marito ha il diritto di picchiare preventivamente la moglie «se teme la sua insubordinazione»: «Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre e perché spendono per esse i loro beni. Le donne virtuose sono le devote, che proteggono nel segreto quello che Allah ha preservato. Ammonite quelle di cui temete l’insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, battetele. Se poi vi obbediscono, non fate più nulla contro di esse. Allah è altissimo, grande.» (4, 34). Maometto ha sentenziato che in tre casi è obbligatorio uccidere: omicidio, adulterio e apostasia. È vero che non tutti gli Stati islamici applicano integralmente o anche parzialmente la Sharia. È vero che ci sono musulmani che antepongono la ragione e il cuore ad Allah e a Maometto. Ma è soprattutto vero che «l’islam è l’islam», si sostanzia del Corano e di Maometto. La differenza tra la violenza sulle donne nell’ambito degli Stati che fanno riferimento al cristianesimo e all’islam è che, nel primo caso, grazie alla separazione tra il potere spirituale e quello secolare, si è affermata la parità di diritti tra i due sessi; viceversa nel secondo caso, in cui non è ammesso l’uso della ragione per criticare ed eventualmente emendare la fede e dove pertanto il peccato è anche reato, è impossibile porre fine alla violenza sulle donne perché si tradurrebbe nel mettere in discussione Allah stesso.
La questione della violenza sulle donne islamiche ci riguarda direttamente, è una tragica realtà dentro casa nostra. Malissimo fanno quei giudici che, relativizzando il nostro Diritto, sdoganano la violenza dei maschi islamici giustificandola con il fatto che è prescritta dal Corano o è parte integrante della loro cultura. Solo affermando il primato delle nostre leggi laiche, fondate sulla sacralità della vita di tutti, la pari dignità tra uomo e donna, la libertà di scelta personale, potremo salvare le donne islamiche residenti in Italia e in Europa dalla schiavitù a cui le ha relegate l’islam.