Impiccata la sposa bambina. L’ultimo orrore degli ayatollah

Impiccata la sposa bambina. L'ultimo orrore degli ayatollah

Ieri, all’alba, Samira Sabzian, una ragazza dagli splendidi occhi a mandorla, è stata impiccata. A nulla è valsa la mobilitazione internazionale promossa dall’ong Iran Human Rights.

Samira era una sposa bambina, data in matrimonio quando aveva 15 anni, vittima anche di violenza domestica. Nel 2013 l’avevano accusata di aver ucciso il marito e condannata alla pena capitale. Ha trascorso 10 anni nel braccio della morte senza vedere i suoi figli di 10 e 17 anni. Li ha incontrati solo un’ultima volta, per dirgli addio.

Samira è stata giustiziata nel carcere di Qeezel Hesar a Karaj. L’esecuzione era prevista per mercoledì 13 dicembre, ma è stata rinviata di una settimana anche sull’onda della reazione da parte della società civile. Secondo il codice penale della Repubblica islamica, coloro che sono accusati di omicidio vengono condannati a morte, a prescindere dalle circostanze in cui il fatto è avvenuto. La famiglia della vittima può scegliere se accettare la pena capitale o chiedere un compenso finanziario. Nel caso di Sabzian, i genitori del marito ucciso avevano chiesto la pena di morte.

Finora nel corso del 2023, sempre secondo Iran Human Rights, sono state giustiziate 18 donne in Iran. «Samira è stata vittima per anni di un apartheid di genere, matrimonio da bambina e violenza domestica, è vittima della macchina omicida di un regime incompetente e corrotto, che si è sostenuto esclusivamente uccidendo e instillando paura», ha scritto su X il direttore dell’ong, Mahmood Amiry-Moghaddam. E ha continuato: «Ali Khamenei e gli altri leader della Repubblica Islamica devono essere ritenuti responsabili di questo crimine. Come altre vittime della macchina della morte del regime, Samira era tra i membri più vulnerabili di una società senza voce. Una campagna di una settimana non è stata sufficiente per salvarla».

Si è fatta poi sentire Mozhgan Keshavarz, l’attivista iraniana che è stata compagna di cella di Samira e che ha trascorso quasi tre anni dietro le sbarre, per lo più nella famigerata prigione di Evin nella provincia di Teheran. «Samira è stata vittima della pratica dei matrimoni precoci e ho visto quanto ha sofferto in carcere per il fatto che le è stato negato di vedere i suoi figli», ha denunciato. La Repubblica Islamica ha il più alto numero di esecuzioni pro capite al mondo. Delle 18 donne che sono state giustiziate nel 2023 si sa poco o nulla. Nessuna delle esecuzioni registrate da Iran Human Rights nel 2022 e nel 2023 è stata riportata da fonti ufficiali, dichiara la ong, poiché le donne sono diseguali davanti alla legge e per lo più ostracizzate dalle loro famiglie a causa di tabù sociali.

Anche Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha fatto trapelare la sua indignazione: «Samira Sabzian, come temevamo, è stata messa a morte in Iran appena dopo la preghiera dell’alba. La sposa bambina che otto anni fa aveva ucciso il marito violento è la diciottesima donna messa a morte quest’anno in Iran su un totale di ormai 800 impiccagioni». Poi Noury ha tuonato: «Le leggi iraniane consentono matrimoni forzati e precoci dall’età di 13 anni per le bambine, non proteggono le donne dalla violenza domestica e poi le ammazzano quando si ribellano». Drastico Azar Karimi, portavoce dell’associazione giovani iraniani in Italia: «L’Italia interrompa in maniera categorica la politica di accondiscendenza con il regime iraniano, faccia rientrare il proprio ambasciatore in Iran e chiuda l’ambasciata di Teheran a Roma».

Leave a comment

Your email address will not be published.