Ok al nuovo Patto di Stabilità. Giorgetti: “Italia accontentata”

Giorgetti assicura: "Il Patto funzionerà se sapremo rispettare i tempi del Pnrr"

«Ci sono alcune cose positive e altre meno». Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha commentato così l’accordo raggiunto ieri all’Ecofin in videoconferenza sulla riforma del Patto di Stabilità, secondo il progetto disegnato da Germania e Francia (con la fattiva collaborazione della presidenza spagnola e di Roma). «L’Italia ha ottenuto però molto e soprattutto quello che sottoscriviamo è un accordo sostenibile, volto da una parte a una realistica e graduale riduzione del debito mentre dall’altra guarda agli investimenti, specialmente del Pnrr», ha aggiunto il titolare del Tesoro.

In particolare, Giorgetti ha valutato positivamente «il recepimento delle nostre iniziali richieste di estensione automatica del piano connessa agli investimenti del Pnrr, l’aver considerato un fattore rilevante la difesa, lo scomputo della spesa per interessi dal deficit strutturale fino al 2027». È in questa estrema sintesi che si sostanzia l’assenso italiano, rimasto in bilico fino all’ultimo. Vediamo, dunque, che cosa si è concordato ieri tra i 27 Paesi. Restano i capisaldi del 3% di deficit/Pil e del 60% di debito/Pil come obiettivi a cui tutti devono tendere. I Paesi che non rispettano il primo parametro sono tenuti, come prima, a una correzione del deficit strutturale (definito al netto della componente ciclica e degli effetti delle misure una tantum e temporanee) dello 0,5% annuo.

L’accordo raggiunto prevede, però, che il ritmo della correzione tenga conto dell’aumento della spesa per interessi al fine di non bloccare gli investimenti più urgenti. Di fatto, investimenti per difesa e Pnrr sono messi al riparo da questi calcoli, almeno fino al 2027. Rimane, però, la consolidata prassi della procedura per deficit eccessivo che vedrà l’Italia sicuramente sul «banco degli imputati» insieme alla Francia. A fine anno il nostro disavanzo è atteso al 5,3% del Pil e il nuovo Patto, come spiegato dal commissario Gentiloni, dovrebbe entrare in vigore a primavera (dopo il trilogo Commissione- Consiglio Ue-Europarlamento).

Rimane anche il «braccio preventivo», ossia il meccanismo di assestamento automatico dei bilanci pubblici.

Mentre nella vecchia formulazione esso era legato all’«obiettivo di medio termine» di deficit strutturale fissato su base triennale, in questo caso si hanno piani della durata di 4 o di 7 anni che prevedono rispettivamente correzioni dello 0,4% di Pil o dello 0,25%. Per l’Italia, che quasi sicuramente opterà per il settennio, si tratta di un impegno equivalente a circa 5 miliardi, cifra tutto sommato «digeribile» anche con una manovrina casomai le prossime leggi di Bilancio non centrassero i target. Più complesso, ma non impossibile il raggiungimento del nuovo obiettivo di deficit, cioè l’1,5% avendo l’Italia un debito/Pil superiore al 90 per cento.

Come da precedenti bozze, anche il debito sarà sottoposto a scrutinio e i Paesi con rosso superiore al 90% del Pil dovranno ridurlo dell’1% all’anno (dello 0,5% tutti gli altri). Il calo, però, non potrà essere solo il prodotto dell’eventuale crescita (il Pil al denominatore aumenta e il rapporto diminuisce), ma sarà il frutto di un piano di spesa pubblica quadriennale o settennale concordato con la Commissione all’avvio della procedura per extradeficit. Possibile uno sforamento fino allo 0,3% del Pil per fattori ciclici e/o per eventi imprevisti.

Il rammarico della premier Meloni per «l’automatica esclusione di investimenti strategici» è significativo. Fino al 2027 si mette sostanzialmente al sicuro il Pnrr. Poi, come ha chiosato il ministro Giorgetti, «gli eventi diranno se il sistema funziona realmente».

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