L’approvazione dell’emendamento Costa può, realmente, segnare l’inizio di un nuovo percorso nella vita democratica del Paese ed in particolare nei rapporti tra giustizia e informazione. Come noto, tale emendamento ha modificato l’articolo 114 del codice di procedura penale, vietando la pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari.
Ovviamente, le opposizioni politiche ed i giornali di riferimento sono di contrario avviso tanto è vero che il quotidiano La Repubblica ha, enfaticamente, parlato di «funerale della libertà di stampa». In realtà dietro queste allegorie si cela l’ennesimo tentativo di salvare ciò che per lungo tempo ha inquinato i pozzi della democrazia in Italia nei rapporti tra parte del mondo degli inquirenti e parte del mondo della informazione. Un inconfessabile patto finalizzato a veicolare all’esterno solo determinate e specifiche notizie, di per sé sufficienti per eliminare dalla vita pubblica o sociale il malcapitato di turno nella vicenda penale, senza la necessità di attendere l’esito del giudizio finale. E magari occultandone tante altre che avrebbero contribuito a realizzare pienamente l’articolo 21 della Costituzione ed il diritto di essere informati su tutto e non solo su alcune vicende.
L’articolo 27 della Costituzione stabilisce il principio di non colpevolezza fino al momento del passaggio in giudicato della sentenza, situazione questa che, normalmente, si verifica dopo la Cassazione, con il terzo grado di giudizio. Fino a quel momento vige il principio di non colpevolezza. Ma i processi, lo sappiamo, durano tanto e attendere il pronunciamento finale della vicenda spesso contrasta con quell’inconfessabile patto. Da qui la necessità di trasformare l’ordinanza di custodia cautelare in quello che non è, e non potrà mai essere: un pronunciamento definitivo sulla vicenda penale che, come tale, si sostituisce all’accertamento della responsabilità.
È vero che dentro un’ordinanza cautelare c’è una gravità indiziaria di colpevolezza basata sulle valutazioni svolte dalla polizia giudiziaria, ci sono gli interrogatori, le intercettazioni, le perquisizioni, ma è vero, anche, che ci possono essere tanti elementi che necessitano di uno sviluppo, come insegnano i moltissimi casi di ingiusta detenzione. Infatti, troppo spesso ci si dimentica che nell’attuale codice di procedura penale le prove si formano in dibattimento di fronte ad un giudice terzo ed imparziale nel contraddittorio tra accusa e difesa. A prescindere dai colletti bianchi, quante volte è accaduto che il mostro sia stato sbattuto in prima pagina richiamando come elemento di prova decisivo, tanto per fare un esempio, una intercettazione di un altro procedimento nella quale due autisti fanno riferimento alla responsabilità dell’imputato? E quante volte è accaduto, già nella fase dell’udienza preliminare, che, in realtà, il significato era totalmente diverso da quello trascritto dalla polizia giudiziaria?
Insomma, anziché un funerale della libertà di stampa, l’emendamento Costa può segnare una inversione di tendenza nei rapporti tra stampa e informazione evitando che la tutela della privacy delle persone e la carriera pubblica e privata di un indagato possa essere calpestata in nome di inconfessabili patti tra parte del mondo degli inquirenti e parte del mondo dell’informazione.