La parità dei sessi non sta nelle parole

La parità dei sessi non sta nelle parole

Caro Feltri,

finalmente trovata la soluzione per assicurare la parità di genere! In un ampio e documentato articolo a pagina intera una giornalista de La Stampa offre la sua miracolosa medicina: «Doppio cognome e cariche al femminile, due consigli facili per la parità di genere». Era ora che la secolare marcia delle donne per essere considerate sullo stesso piano degli uomini trovasse il suo traguardo. Pensate, finalmente quando la signora Donatella Stasio potrà chiamarsi Donatella Stasio Rossi magari otterrà uno stipendio doppio. E quando sarà chiamata giudicessa sarà trattata con deferenza dai colleghi. Ci sarebbe materiale per un’intera puntata di Zelig, mi limito solo a rivendicare il fatto che se il segreto sta nella carica al femminile, allora bisognerebbe mettere mano anche alle cariche maschili svilite da termini femminili. Esempi? Un uomo non è giornalisto, non è artisto, non è concertisto, non è piloto, non è autisto, non è garagisto e via con altri esempi. Per favore, non scendiamo nel ridicolo, lasciamo a Zelig il compito di farci fare le risate matte con questi argomenti e concentriamoci sulle reali misure da adottare per realizzare la parità di genere!

Gianluigi De Marchi

Caro Gianluigi,

viviamo nell’epoca del trionfo della superficialità e tu hai descritto bene il paradosso insito in questo tipo di mentalità, tendente a proporre ricette pasticciate e inutili a qualsiasi genere di problematica. Così si mira a risolvere il problema dell’inquinamento dipingendo con la vernice bizzarre e per di più pericolose piste ciclabili ai margini delle strade, come ha fatto il sindaco Beppe Sala a Milano, o a raggiungere una effettiva parità di genere modificando i cognomi e declinando al femminile qualsiasi sostantivo riferito alle signore, o a combattere la disoccupazione pagando chi non lavora. Potrei continuare con l’elenco delle schizofrenie di progressisti e affini, ma qui mi fermo. Alla guerra alle desinenze ho dedicato una parte del mio ultimo libro, I fascisti della parola, e francamente non mi rassegno a questa stupidità dilagante, quella di tutti coloro che ritengono che modificando le vocali si possa migliorare la società.

Più importante delle cariche al femminile sono cariche e ruoli ricoperti dalle donne. Insomma, è più importante avere un primo ministro donna piuttosto che adoperare il termine «ministra». La sinistra non va mai alla sostanza e al cuore della cose ed è capace di divenire isterica per questioncine di lana caprina o anacronistiche. Basti considerare che i radical-chic ci rompono le scatole ogni dì con l’allarme fascismo e il fascismo è morto e sepolto da circa ottant’anni.

Faccio notare qualcosa che non è irrilevante: il presidente del Consiglio è donna, il leader dell’opposizione è donna, nei tribunali ci sono più donne che uomini e così negli ospedali e nelle scuole. Abbiamo avuto negli ultimissimi anni sempre più signore al potere, da Marta Cartabia ad Elisabetta Casellati, da Elisabetta Belloni, alla guida dei servizi segreti, a Margherita Cassano, presidente della Corte di Cassazione, nominata nel marzo del 2023. Eppure ci tocca subire le prediche dei giornalisti che ci propongono il doppio cognome e le cariche al femminile per combattere contro un patriarcato che non esiste. Perché invece non ci accorgiamo di questi progressi tangibili che si stanno sempre più registrando nella nostra società? Per quale motivo ci ostiniamo a fornire una lettura alterata della realtà?

Certo, possiamo fare di più e meglio nel cammino verso una piena equiparazione tra maschi e femmine, la quale non sussista solo sulla carta o in dichiarazioni di principi o di intenti. Ma è innegabile che in Italia, a prescindere da come le si chiami, a portare i pantaloni sono loro, le donne. Dentro le famiglie e anche fuori.

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