Dopo i diamanti, le armi. Passate ventiquattro ore dal via libera di Bruxelles al dodicesimo pacchetto di sanzioni comunitarie contro la Russia (un robusto stock di nuovi listing, a partire dal divieto di importare diamanti che provengano o siano solo transitati da Mosca), Roma dà l’ok all’ottavo decreto per l’invio di armi all’Ucraina e proroga fino al 31 dicembre 2024 l’autorizzazione a mandare aiuti militari a Kiev. Un’accelerazione approvata ieri in un Consiglio dei ministri presieduto dal vicepremier Antonio Tajani – da lunedì Giorgia Meloni è alle prese con l’influenza – che, nelle «varie ed eventuali», ha deciso di inserire fuori sacco il decreto legge che per tutto il prossimo anno autorizza il governo alla «cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari» all’Ucraina. Un dl di soli due succinti articoli che è la fotocopia del precedente e, dunque, ricalca alla lettera quello del governo guidato da Mario Draghi. E che prevede il via libera – recita l’articolo 1 – «previo atto di indirizzo delle Camere». Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, dovrà insomma riferire in Parlamento a breve. Una comunicazione con risoluzioni che partirà ancora una volta dal Senato, nonostante l’abbondante inondazione d’acqua di ieri. Già, perché – per banali questioni idrauliche – a sera Palazzo Madama era alle prese con una corposa perdita al piano Aula (lato sala del governo) con qualche rischio per i relativi affreschi ottocenteschi. Un incidente che sarà certamente risolto in tempi brevi e che non incide sulla calendarizzazione dei diversi provvedimenti. E siccome il ministero per i Rapporti con il Parlamento ha appena inviato alla Camera il dl Italia-Albania (sui centri migranti), era inevitabile che il decreto sulle armi a Kiev per il 2024 arrivasse al Senato.
Come detto, il provvedimento non era all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri. E fino a lunedì l’intenzione di Palazzo Chigi era quella di approvarlo nei primi giorni del 2024, magari utilizzando la scorciatoia del Milleproroghe. Se si fosse temporeggiato, però, si sarebbe creato un vuoto legislativo tra il 31 dicembre 2023 e l’inizio del nuovo anno. Non giuridicamente problematico, perché l’invio dell’ottavo pacchetto di armi è ancora legittimato dal precedente decreto. Ma politicamente discutibile, perché avrebbe dato l’idea di un disimpegno dell’Italia su un fronte così delicato come quello ucraino, con Palazzo Chigi a preferire la via poco chiara del decrto omnibus. Su cui, peraltro, la Lega avrebbe avuto più margini – dal punto di vista parlamentare – per favorire incidenti.
Già, perché il non detto è che sull’invio di armi a Kiev il Carroccio è freddissimo (ieri zero dichiarazioni). Come pure lo è la base di Fdi, perché la questione evidentemente non solletica l’elettorato di centrodestra e la campagna per le Europee di giugno è ormai iniziata. Di qui la scelta di accelerare. Con Crosetto che ha preso la parola in Consiglio dei ministri e ha messo sul tavolo il nuovo decreto per poi esporlo nel dettaglio al Copasir.
Un’accelerazione che mette l’Italia persino davanti agli Stati Uniti, che – faceva notare ieri il ministro degli Esteri del Regno Unito, David Cameron – «è un peccato non abbiano ancora approvato gli aiuti all’Ucraina». «L’Italia – dice Crosetto – sceglie di essere dalla parte della libertà delle nazioni e del rispetto del diritto, con l’obiettivo di arrivare a una pace giusta, in linea con Nato e Ue». Gli fa eco Meloni. «Opporsi all’aggressione russa significa difendere le regole. In Ucraina – dice la premier – si stabilisce se il futuro sarà di pace o di guerra, se sarà basato sulle regole del diritto internazionale o sul caos. Purtroppo, abbiamo già cominciato a vedere le conseguenze nei diversi focolai in giro per il mondo. Dall’instabilità nel Sahel fino all’America Latina, con l’annuncio del Venezuela di voler annettere unilateralmente il 70% della Guyana».