Sono passati tredici anni dalla morte del caporalmaggiore dell’esercito Francesco Saverio Positano, militare foggiano impegnato in una missione di pace ad Herat, in Afghanistan. Lunedì la Procura di Roma ha chiesto la condanna di due militari italiani accusati di omicidio colposo. La tragedia risale al 23 giugno 2010: durante una missione di perlustrazione, Positano morì schiacciato da un mezzo blindato militare, il Buffalo. Di fronte al giudice monocratico della Capitale, il pubblico ministero Erminio Amelio ha sollecitato la condanna a 5 anni per Matteo Rabbone, autista del mezzo, e per Vincenzo Ricciardi, ufficiale responsabile del plotone.
Nel corso della sua requisitoria durata sette ore, il pm Amelio ha posto l’accento su come dopo l’incidente fu redatta una “relazione scandalosa dai responsabili militari di allora, hanno nascosto e stanno nascondendo la verità“. Secondo quanto ricostruito da Rabbone e Ricciardi, Positano “cadde dal blindato perchè colpito da un malore”. La famiglia del caporalmaggiore non si è però arresa e ha intrapreso una battaglia per ottenere giustizia, non avendo supporti o riconoscimenti da parte dell’esercito. “La madre di Positano cercava la verità ma ha avuto solo porte sbattute in faccia”, ha aggiunto il pubblico ministero.
Il pm ha poi evidenziato come si sia scoperto come sono andati i fatti: il militare sarebbe sceso dal mezzo blindato Buffalo per controllarlo, per poi venire investito. Un dramma che non sarebbe mai accaduto se il motore non fosse stato lasciato acceso e si fossero rispettate le regole previste nei manuali. “Pochi giorni prima di questo incidente c’erano stati altri morti fra i militari italiani, a causa di attentati con ordigni, un’altra vittima non si poteva accettare, l’opinione pubblica non ne poteva più e l’esercito non si voleva più sobbarcare altre critiche. Qui però la morte è avvenuta per una grave falla”, l’analisi di Amelio.
E, ancora, la similitudine con il caso di Stefano Cucchi, morto il 22 ottobre 2009 mentre era sottoposto a custodia cautelare: secondo l’accusa, i due militari a processo hanno tentato di mettere una toppa per chiudere il buco. È stata orchestrata una vera e propria attività di depistaggio in senso lato per un malinteso spirito di corpo: “Ci sono stati testi reticenti e testi che hanno raccontato bugie, tanto da finire sotto inchiesta, per alcuni è scattata la prescrizione e per altri l’archiviazione. Ma la tragedia successa a un loro commilitone – ha concluso Amelio – sarebbe potuta accadere a loro”.