Tradizione sì, ma con giudizio. E soprattutto senza spargimenti di sangue. Lo storico della gastronomia Luca Cesari ha ricevuto insulti e finanche minacce di morte per aver descritto una ricetta di spaghetti alla carbonara con ingredienti che suonano insoliti ossia pancetta, groviera e aglio. Non l’avesse mai fatto! Fa niente che nel video incriminato abbia mostrato la rivista del 1954 dove tale ricetta venne pubblicata, e fa niente che lui stesso si sia mostrato scettico circa il risultato finale.
Niente da fare: la tradizione non si tocca! Ma quale tradizione? Io amo la tradizione anche perché riguarda il quarto comandamento, «Onora il padre e la madre». Ad esempio: mangiando lagane e ceci onoro i miei paterni avi lucani, bevendo Lambrusco onoro i miei materni avi padani… Bisognerebbe però evitare eccessi di zelo ed eccessi di ridicolo.
Le ricette non sono scritte sulla pietra dal dito di Dio, non vanno confuse con le Tavole della Legge consegnate a Mosè sul Sinai. Sono quanto di più mobile e opinabile. Per molti la tradizione culinaria si riduce alla cucina della mamma o della nonna: è già difficilissimo, se non impossibile, risalire alla cucina della bisnonna.
Ogni famiglia ha le sue ricette, ogni generazione apporta le sue modifiche. Proprio la carbonara ha origini molto confuse: c’è l’ipotesi napoletana, l’ipotesi abruzzese, l’ipotesi umbra, l’ipotesi romana e per finire l’ipotesi riccionese. Dalla terra della piadina! E com’è ovvio ogni ipotesi prevede variazioni. Se tutto è così incerto che senso ha insultare e minacciare? È un senso psicopatologico: groviera, parmigiano o pecorino sono solo pretesti.
C’è in giro un grande bisogno di tradizione perché il mondo (religione, politica, famiglia, tecnica…) sta cambiando troppo velocemente e la gloriosa cucina italiana svolge il ruolo di rassicurante punto fermo. Purtroppo perfino la tavola si muove: c’è chi non lo accetta e, vedendo in un video una testa d’aglio, perde la testa. •.