Credo che quanto esprimerò tra un momento sia senz’altro vietato da qualche legge che finisce in «fobia». Anche se non esistesse, la scoverebbero. E dunque mi aspetto denunce penali, procedure amministrative, reprimende social, e svariati vattene-a-morì-ammazzato, oltre che un Viva-l’Italia-antifascista dedicatomi da qualche loggionista cretino. Amen.
Odio gli scioperi. Generali e di quartiere, quelli verdi e quelli gialli. Venerdì a Milano c’è stato il blocco della metropolitana, non di tutta la rete, ma della sola linea gialla. Guardo l’intricata mappa. È la tratta che si ferma in Duomo e alla Stazione Centrale. Siamo sotto Natale, di venerdì, ovvio. Ho visto la scena, sono un testimone. In superficie annaspava il traffico, i tubi di scappamento inesausti spalmavano smog, le gole dei cristiani spandevano nell’aria bestemmie e maledizioni. Ci sono le linee rosse, verdi, viola, ma dimentico senz’altro quelle lillà e indaco: hanno scelto di fermare quella che faceva più male.
Male a chi? A tutti. Che cosa ha ottenuto chi ha rinunciato a una paga di mezza giornata? Niente. Ma ha provocato un danno corale. I presunti grandi giornali e le tivù invece di denunciare questo commando di sabotatori della vita comune, hanno taciuto. Non del tutto, però. Ecco ho trovato una letterina delle cronache milanesi del Corriere della Sera. Gianfranco Comi scrive: «Presumevo che lo sciopero di ieri fosse stato indetto per problemi inerenti le criticità del trasporto pubblico a Milano. Leggo le motivazioni: contro le spese militari, contro le opere speculative, blocco delle privatizzazioni eccetera. Quindi niente mezzi pubblici per queste ragioni ideologiche di una minoranza supponente. Del trasporto pubblico neanche (…)
(…) un Beh». Il commento del capocronista ammette: «Certe ragioni sono fumo negli occhi».
Domanda: e allora perché sopportiamo tutti questo stato di cose come un danno inevitabile? Per quale ragione non ci si ribella al sopruso? Basta tabù, please. Diciamocelo: il diritto allo sciopero oggi equivale al diritto all’idiozia. È scritto in Costituzione? Sì, quello allo sciopero, all’articolo 40, quello all’idiozia è sottinteso. E allora?
Pertanto, confesso: odio gli scioperi, gli scioperanti mi fanno pena. Non è solo un rito inutile, ma un lusso che non possiamo permetterci. Causa uno spreco di energie fisiche e morali, induce a un consumo di imprecazioni al cielo e al prossimo, per cui avremmo già abbastanza motivi senza che ne aumentino il tonnellaggio Landini della Cgil e Bombardieri della Uil, con quel nome da mitomane.
Sono insomma per l’abrogazione dello sciopero. Che resti pure il diritto sulla Carta. Ce ne sono peraltro di intoccabili che non sono stati garantiti ufficialmente dai padri della Patria, come quello all’imbecillità e alla maleducazione, la cui eliminazione sarebbe un programma troppo vasto anche per Napoleone. Un divieto di sciopero non per legge, non per un intervento dell’autorità garante, ma per un’ondata di buonsenso collettivo. E con ciò mi do da solo dell’illuso.
Nel resto del mondo, dove servirebbero, non si fanno, ma in Occidente sì, pur dopo il solenne fiasco degli scioperi delle miniere gallesi e inglesi con la disfatta dei sindacati provocata da Margaret Thatcher, e negli stessi anni le batoste subite da Berlinguer messosi della parte delle frange estremiste degli operai torinesi della Fiat. Gli scioperi da allora in Italia hanno condotto i sindacalisti al Parlamento europeo, spedendo operai e impiegati alla disoccupazione.
Non ce l’abbiamo con gli operai e gli impiegati che hanno ragione a voler guadagnare di più, ma con chi detta metodi che bloccano l’organismo sociale: si fa congelare il sangue di un organismo vivo, lo si pietrifica. Piegando le ginocchia all’imprenditoria manifatturiera, costretta a chiudere bottega o a svendere il proprio marchio a multinazionali che delocalizzano nel terzo mondo progettazione e produzione. Gli scioperi non li dismetterei per ideologia, ma per pratica di vita. Non si gira in calesse sulle autostrade della competizione internazionale. In patria serve sedersi al tavolo portando proposte praticabili per le due parti. Ma che sindacati sono quelli che proclamano scioperi generali per il disarmo e intanto alla chetichella firmano contratti da cinque euro lordi di paga oraria per chi lavora nella vigilanza privata? Occorrono altri modi per difendere i legittimi interessi che non la piazza, non è il tempo della lotta di classe insieme plateale nei modi e platonica nei risultati. Semmai si tratta di coalizzarsi nella comune promozione di interessi nazionali, comprendendo bene che oggi profitti colossali che mutano i destini di popoli e continenti non sono realizzati nell’ambito dell’economia reale, ma nei cieli asettici della finanza, dove si gioca a dadi il nostro futuro. Mentre noi giochiamo a lasciarci strangolare la vita dallo sciopero della linea gialla per la nostra disperazione di poveri cristi.