Che Brunello fa? La risposta arriva ogni anno da Benvenuto Brunello, la manifestazione che anima Montalcino per diversi giorni e che presenta la nuova annata di uno dei rossi più celebrati non solo della Toscana ma dell’Italia intera, talmente amato all’estero che negli ultimi dodici mesi il suo consumo negli Usa è aumentato del 10 per cento malgrado le difficoltà generali nell’export enologico.
Focus quindi sull’annata 2019, che da disciplinare sarà immesso in commercio il prossimo 1° gennaio. Un’annata complessivamente di livello medio-alto, che nelle mie degustazioni al Chiostro della chiesa di Sant’Agostino è apparsa forse meno brillante di aspettative che erano decisamente alte. Mancano forse i picchi qualitativi, ma si tratta di un’annata che comunque farà sorridere i produttori, già soddisfatti per una 2018 che, come dice il presidente del consorzio Fabrizio Bindocci, «ha già collocato sul mercato l’85 per cento del proprio potenziale e il rimanente sarà evaso nei prossimi mesi. La denominazione è in buon equilibrio, con poco stock in cantina e un mercato che gira, a conferma che il segmento luxury nel nostro caso si dimostra anticiclico». Poche scorte, dunque, che è una buona notizia ma anche un rischio, visto che l’ultima vendemmia non è stata molto abbondante.
Ma intanto il 2019 scalpita. Centodiciotto le aziende che hanno presentato i loro prodotti, con alcune grandi assenze come quella di Biondi Santi, che il Brunello l’ha inventato. I vini sono complessivamente coerenti con un’annata meteorologicamente piuttosto regolare, che ha favorito una perfetta maturità delle uve Sangiovese. Il risultato sono vini generalmente più spinti sul frutto e sull’eleganza, un po’ meno sulla potenza, con tannini ben equilibrati.
Ma naturalmente ogni campione assaggiato fa storia a sé. Ecco i miei preferiti, quelli che vi consiglio di acquistare con il nuovo anno. Partiamo da Argiano, fresco di nomina come migliore vino del mondo secondo Wine Spectator nell’edizione 2018 e che nella 2019 si mostra ampio, grandioso, con aromi caldi di agrumi, china, resina, in bocca carnoso e masticabilissimo.
Poi c’è una mia passione, Giodo, naso di erba aromatica e incedere maestoso. Non si sbaglia con Canalicchio di Sopra, che in particolare con il Vigna Montosoli appare slanciato ed elegantissimo. Ancora: il Casanova di Neri Tenuta Nuova, che punta molto sulla dolcezza del frutto e sulle note speziate. Il Castello Romitorio è di grande scuola, con un tocco suadente di grande fascino, una beva davvero universale. Quindi Capanna, solare, leggermente affumicato, per palati davvero fini. Non delude mai il Caparzo, che in quest’annata appare piacevolmente balsamico.
Ancora: il Salvioni La Cerbaia, naso di bergamotto e timo, con un sorso davvero compiuto, di estrema classe. Il Sesta di Sopra è magnificamente mentolato, con una salinità che dribbla qualsiasi possibile stanchezza. Infine, a chiudere la mia personale top ten ecco Il Poggione, che riempie la bocca con un sorso ampio, ben scandito, che promette una notevole longevità.
Ma siccome da 118 degustazioni non si può uscire solo con dieci flirt, eccone altrettanti appena in seconda fila: il Gorelli Giuseppe che molti ha entusiasmato, e quindi Fuligni, Gianni Brunelli, Franco Pacenti, Albatreti, Fattoi, Elia Palazzesi, Collemattoni, Ciacci Piccolomini d’Aragona, Castiglion del Bosco, Pietroso e Poggio Antico. Come dite? Sono dodici? Pazienza. E il Brunello, bellezza.