Tregua, a Oslo l’incontro Mossad-Qatar

Il processo sarà «lungo, difficile e complicato» dicono fonti politiche al Wall Street Journal. Ma i parenti degli ostaggi insistono che non c’è più tempo e la diplomazia accelera per arrivare a un nuovo accordo intermediato tra Israele e Hamas e riportare a casa i circa 130 rapiti israeliani rimasti in mano ai jihadisti a Gaza. Il capo del Mossad ha incontrato ieri a Oslo il premier del Qatar, lo sciecco Tamim bin Hamad Al Thani, per una nuova trattativa sulla liberazione. Prima di lui, il ministro della Difesa Gallant ha incontrato i vertici militari e dell’intelligence. In serata il Gabinetto di guerra si è riunito per discutere degli ultimi sviluppi.

Il tragico errore dei soldati israeliani che hanno ucciso tre dei rapiti nella Striscia, scambiandoli per terroristi nonostante la bandiera bianca e il grido «aiuto», brucia in piazza a Tel Aviv, dove in migliaia sono scesi in piazza a sostegno delle famiglie angosciate e arrabbiate per i loro cari, e brucia pure nell’esecutivo israeliano. Ogni giorno potrebbe essere l’ultimo, come lo è stato per la 27enne Inbar Haiman, rapita al rave di Reim e la cui morte è stata annunciata ieri. Cresce il pressing anche su Joe Biden negli Stati Uniti, per il ritorno degli ostaggi americani. Il direttore della Cia, Bill Burns, e il ministro dell’intelligence egiziano hanno analizzato il resoconto del colloquio tra il capo del Mossad e il Qatar, e Usa ed Egitto continuano a lavorare per l’intesa. Di mezzo non c’è solo la vita di circa 130 ostaggi, fra cui diversi soldati. C’è anche il consenso dell’opinione pubblica nazionale e internazionale che vacilla, come ha ricordato Joe Biden, mentre la guerra prosegue violenta nella Striscia, tra bombardamenti e scontri con i jihadisti, e diventa altissimo il rischio che altri ostaggi vengano uccisi.

Liberata da Gaza, ma in attesa del ritorno del marito ancora in mano a Hamas, Raz Ben-Ami si fa portavoce del malcontento dei famigliari dei rapiti: «Avete promesso il ritorno dei sequestrati vivi, cosa state aspettando», ha incalzato l’esecutivo da Tel Aviv. «Abbiamo implorato il Gabinetto di guerra, avvertendo che i combattimenti avrebbero potuto danneggiare gli ostaggi. Sfortunatamente, avevamo ragione». L’insofferenza per l’offensiva e le sue vittime cresce, «il tempo è scaduto» dicono, mentre il conflitto prosegue durissimo a Gaza, dove secondo Hamas sono oltre 19mila le vittime palestinesi. Ieri a sud di Gaza si sono svolti i funerali del cameraman di Al Jazeera, Samer Abudaqa, ucciso il giorno prima dal missile di un drone israeliano a Khan Yunis, dopo aver atteso per sei ore un’ambulanza.

Hamas, a sua volta, soffia sull’angoscia dei famigliari: «L’esercito sionista ha intenzionalmente giustiziato tre ostaggi, preferendo ucciderli piuttosto che liberarli», è la folle propaganda antisemita. Poi il messaggio a Israele: «Conosce molto bene le nostre condizioni per liberarli. Nessuno di loro sarà liberato finché non saranno soddisfatte le nostre condizioni».

Il tempo stringe, mentre cresce il pressing della macrosfera jihadista nella regione. Gli Stati Uniti hanno abbattuto nel Mar Rosso con un cacciatorpediniere lanciamissili 14 droni degli estremisti yemeniti Huthi, filo-iraniani, che hanno anche attaccato altre due navi dirette in Israele. Una nave da guerra britannica ha abbattuto un altro drone. Dopo la compagnia danese Maersk, anche l’italo-svizzera Msc ha sospeso il transito nel Mar Rosso. In Siria le forze filo-iraniane hanno preso ancora di mira con razzi e droni tre basi militari americane. L’Iran ha comunicato di aver impiccato una «spia» israeliana.

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