Più di tre anni dopo quella sera del 24 settembre 2020 che gli costò il posto da prefetto delle cause dei santi e soprattutto i diritti legati al cardinalato, il cardinale Angelo Becciu ha ricevuto oggi un’altra doccia fredda. Il presidente del tribunale vaticano lo ha condannato, infatti, a 5 anni e 6 mesi di reclusione, infliggendogl una multa di 8 mila euro e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Il processo è nato dall’indagine sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Tra le dieci persone fisiche, il porporato sardo è stato l’imputato più conosciuto, forse anche il più “bersagliato”. La sentenza di oggi pronunciata dal presidente del tribunale della Città del Vaticano, l’ex procuratore capo della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, non mette la parola fine alla vicenda perchè l’ordinamento giudiziario del piccolo Stato contempla anche l’appello e l’eventuale giudizio di cassazione. L’avvocato del cardinale Fabio Viglione ha già annunciato che ricorreranno sicuramente in appello.
Gli altri imputati
Il promotore di giustizia Alessandro Diddi aveva chiesto più di 7 anni di reclusione per l’ex sostituto accusato di peculato. La condanna è più bassa perché il tribunale lo ha ritenuto non responsabile per altri reati di peculato successivi alla prima fase della trattiva perché “non avendo più la Segreteria di Stato la disponibilità del denaro una volta che esso era stato versato per sottoscrivere le quote del fondo” il fatto non sussiste.
Tra gli altri imputati anche monsignor Mauro Carlino che fu segretario prima di Becciu e poi del suo successore monsignor Edgar Peña Parra: per lui, nel frattempo tornato della diocesi originaria di Lecce e nominato parroco a Santa Trinità in Santa Croce, il pg aveva chiesto 5 anni e 4 mesi di reclusione. Per il prete pugliese sono arrivate buone notizie dalla sentenza di oggi: è stato assolto da tutti i reati a lui contestati.
La sentenza sorride anche a Tommaso Di Ruzza e Renè Brulhart, ex direttore generale e presidente dell’Autorità di Informazione Finanziaria del Vaticano, di cui è stato riconosciuto che sono “intervenuti nella fase finale del riacquisto del Palazzo di Sloane Avenue”, venendo assolti per il reato di abuso di ufficio e ricevendo solo una multa per “omessa denuncia e per la mancata segnalazione al Promotore di giustizia di un’operazione sospetta”.
L’altro nome che aveva attirato a lungo l’attenzione della stampa era quello di Cecilia Marogna, la sedicente esperta di geopolitica a cui faceva riferimento la società Logsic che incassò bonifici dalla Segreteria di Stato aventi come causale una missione umanitaria individuata nel tentativo di liberare suor Gloria Cecilia Narvaez, rapita nel febbraio 2017 da fondamentalisti islamici in Mali. Per l’accusa, però, quei soldi sarebbero stati utilizzati dalla stessa Marogna per spese definite dal pg “voluttari e incompatibili con le finalità impresse dalla Segreteria di Stato”. Per la donna sarda, già protagonista di una nota puntata di Report sul caso erano stati chiesti 4 anni e 8 mesi. Pignatone l’ha ritenuta colpevole, condannandola a tre anni e nove mesi con interdizione temporanea dai pubblici uffici per uguale periodo. A proposito dei versamenti di più di 500mila euro alla società riferibile a Marogna, il cardinale Becciu è stato giudicat “colpevole in concorso”.
Il palazzo di Londra
Il processo non ha riguardato solo quello, ma si può dire che sia nato dallo scandalo del palazzo londinese acquistato dalla Santa Sede tra il 2014 ed il 2018. Tra gli imputati figuravano quindi Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi, i due broker a cui la Segreteria di Stato aveva affidato l’investimento in tempi diversi. Per loro, rinviati a giudizio per peculato , truffa , abuso d’ufficio , appropriazione indebita e autoriciclaggio, Diddi aveva chiesto rispettivamente 11 anni e 5 mesi e 7 anni e 6 mesi di reclusione. Alla fine la sentenza ha condannato Mincione a cinque anni e sei mesi e Torzi a sei anni infliggendo seimila euro di multa e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e alla sottoposizione alla vigilanza speciale per un anno. L’immobile di Sloane Avenue è stato nel frattempo venduto dall’Apsa, la “cassaforte” della Santa Sede, a Bain Capital per 186 milioni di sterline. All’acquisto del palazzo nel 2014 si arrivò dopo un cambio di programma: inizialmente, infatti, si pensò di investire una somma nella disponibilità della Segreteria di Stato nella cosiddetta operazione Falcon Oil, un investimento in un fondo petrolifero in Angola dove Becciu aveva fatto il nunzio apostolico. L’allora Sostituto presentò questa proposta, arrivatagli da un imprenditore amico, all’ufficio amministrativo competente che ne valutò la fattibilità e poi la sconsigliò. A capo di quell’ufficio c’era proprio monsignor Alberto Perlasca, colui che nell’indagine e nel processo è divenuto il grande accusatore di Becciu. Nonostante fosse il suo superiore, Becciu accettò il responso negativo sull’affare da lui segnalato.