Il Bisonte che sfondava le reti. Dario Hubner si racconta al Giornale.it

Il Bisonte che sfondava le reti. Dario Hubner si racconta al Giornale.it

Una vita da attaccante, ha messo a segno gol a grappoli (più di 300) in ogni serie dove ha giocato: Dario Hubner è l’unico calciatore, insieme a Igor Protti, ad avere vinto la classifica dei cannonieri di Serie A, B e C1 rispettivamente con Piacenza, Cesena e Fano. Triestino di Muggia, 56 anni, vive a Crema, dove nel 1988 ha conosciuto la sua attuale moglie. Ora, dopo una parentesi da allenatore, è rimasto lontano dal mondo del calcio.

Cognome di origine tedesca, suo nonno era di Francoforte, città dalla quale si era trasferito in Friuli-Venezia Giulia. Il padre operaio, la mamma, istriana, casalinga. Dario lascia presto la scuola dopo la licenza media per mettersi a lavorare dall’età di 14 anni. In questa intervista ci racconta tante cose sulla sua esperienza nel mondo del calcio.



Quando ha cominciato a tirare i primi calci e qual era il suo ruolo?

“Come tutti i bambini, a due-tre anni, appena ho iniziato a camminare. Mia mamma mi diceva che avevo il pallone in testa, quindi, a quell’età ho cominciato a giocare a calcio, però era solo per divertimento ed è stato così fino all’età di 20 anni. Riguardo al ruolo, quando giocavo nel piazzale facevo un po’ di tutto, dall’attaccante, al difensore, non c’era un ruolo preciso”.



Il momento decisivo della sua carriera calcistica qual è stato?

“Quando dal Fano, in serie C, mi sono trasferito al Cesena in B: son passato da un campionato professionistico di serie C, dove sei un giocatore fino ad un certo punto, mentre quando approdi in serie B sei un giocatore vero”.

Dario Hubner




Pur avendo messo a segno valanghe di gol, cosa le è mancato per giocare in una big?

“Sono arrivato tardi in serie A, all’età di 30 anni. Negli anni Novanta c’erano dei grandi campioni e all’epoca, a 32-33 anni, si smetteva addirittura di giocare a calcio, mentre ora si gioca fino quasi a 40 anni. Diciamo che erano situazioni diverse da quelle di oggi”.

Che ci dice dei soprannomi Bisonte e Tatanka? Le piacevano?

“Tatanka vuol dire Bisonte in lingua indiana. Mi affibbiarono questo perché io soffro un po’ di cifosi e quando partivo in contropiede ero un po’ ingobbito tanto da somigliare a un bisonte, che ha la gobba sopra. Sì, il soprannome mi piaceva perché era reale, in quanto ero robusto, avevo forza fisica, quindi il bisonte era un animale che mi somigliava”.



Qual è il mister con cui si è trovato meglio?

“Ne ho avuti talmente tanti… penso a Guidolin, Sonetti, Mazzone, Novellino. Quest’ultimo, tra l’altro, mi ha fatto vincere la classifica marcatori di serie A. Poi ‘Maciste’ Bolchi a Cesena, e così via. Ognuno di quelli che ho avuto mi ha dato qualcosa, quindi dire un solo nome sarebbe troppo riduttivo”.

Dario Hubner

Ed il compagno di squadra a cui è rimasto più legato?

“Sento di frequente i fratelli Filippini, ogni tanto Filippo Galli. È chiaro che con il passare degli anni molta gente la perdi di vista, anche se, sotto Natale o Pasqua, un po’ di compagni li senti. Diciamo che con i Filippini, essendo di Brescia, quindi vicini a dove vivo, a Crema, che dista 40 km, ho un rapporto più immediato”.

La piazza in cui ha giocato che ricorda con più piacere?

“Le ricordo tutte con piacere, da Fano, che ha dato il là alla mia carriera calcistica, bella città sul mare, dove sono stato tre anni ed ho vinto un campionato. Poi Cesena, città stupenda, dove ho giocato 5 anni. Sono stato 4 anni a Brescia, poi Mantova, dove ho fatto un anno solo ma ho trovato una piazza grandissima, abbiamo vinto un campionato con il presidente Lori, un anno stupendo”.

C’è qualche aneddotto o episodio strano che le è successo in campo e che ricorda ancora?

“Negli anni 90 accadevano cose che adesso non sarebbero ammesse. Faccio un esempio: un sabato mattina, a Fano, in C, durante un allenamento di rifinitura, alla vigilia di una gara fondamentale, noi giocatori eravamo convocati al campo per le 9.30-10. Ebbene, un nostro compagno di squadra si era addormentato, arrivando al campo per l’allenamento alle 11.30 abbondanti. Lo prendemmo un po’ in giro, poi il martedì seguente portò i pasticcini e finì tutto li. Oggi per una cosa del genere magari ti mettono fuori rosa”.

Qual è l’avversario più forte che ha trovato?

“Ne ho avuti tanti, ma penso che quello che mi piaceva tantissimo e di cui non mi accorgevo, che non mi faceva toccare palla, era Nesta: non ti strattonava, non ti spingeva, però, ripeto, non ti faceva toccare palla”.

Come vede il girone dell’Italia agli Europei?

“Sicuramente non ci è capitato un girone semplice, ma è vero anche che le squadre che incontreranno l’Italia non saranno certo tranquille. Croazia e Spagna sono ottime squadre, l’Albania sta migliorando moltissimo, ma l’Italia con la sua storia calcistica deve andare là a fare qualcosa di positivo”.

Segue i campionati di Serie A e B e quali squadre vede favorite?

“Sì. In serie A la squadra che sta giocando il miglior calcio con una rosa importante è l’Inter, la Juve, seconda, sta facendo un ottimo campionato, a mio avviso, sopra le aspettative, non dico che sia scarsa, ma come livello di giocatori la vedo al pari di Napoli e Milan. Per la serie B ho visto un buon Venezia, credo che potrebbe ritornare in serie A, sono partiti bene, hanno un attaccante che fa sempre gol, sono belli compatti, inoltre mi auguro che il Brescia faccia bene, in quanto tifoso di quella squadra e seguo la B anche per questo. È un campionato di transizione per le rondinelle, spero che Maran la risolva un po’, il campionato è lungo, mi farebbe piacere vedere il Brescia più in alto”.

Se la sente di fare un parallelo fra il calcio odierno e quello dei suoi tempi?

“Io sono un po’ fuori dal calcio e quindi il calcio di oggi lo vivo solo esternamente. Del calcio di una volta posso dire che noi eravamo una squadra che eravamo come una grande famiglia, a cominciare dal presidente in giù, e forse è questa la differenza che vedo con il calcio attuale. I famosi presidenti, come Anconetani, Lugaresi, Rozzi, Corioni erano come genitori e oltre che presidenti erano tifosi. Automaticamente i giocatori volevano bene ai loro presidenti. Tu quando vincevi vedevi un presidente felice, a cui avevi fatto un bel regalo. Invece oggi, con queste proprietà estere, al di là che possono sicuramente essere felici per una vittoria, c’è un po’ più di distacco”.

Cosa sta facendo attualmente?

“Faccio il nonno e mi diverto, è una cosa bellissima”.

Perché non è rimasto nel calcio?

“Non vedo più certi valori, una volta c’era la riconoscenza. Mi ricordo che da giovane, quando andavo a giocare, i calciatori più vecchi bisognava ascoltarli in silenzio. Oggi invece un calciatore giovane, solo perché magari ha fatto due presenze, pensa già di comandare e la società glielo permette anche. È diventato un calcio che non mi piace, procuratori, sponsor, e gli allenatori che diventano quasi come dei commercialisti”.

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