L’insostenibile leggerezza di Cristina Bowerman

L'insostenibile leggerezza di Cristina Bowerman

Ci giurerei: Cristina Bowerman si è stancata di essere considerata la chef rock per i suoi modi informali e per i suoi capelli colorati, che quindici anni fa potevano forse scandalizzare qualcuno ma adesso anche basta. Il fatto è che il mondo della gastronomia, che si diletta a giocare con concetti come avanguardia e sostenibilità, in realtà è piuttosto conservatore e indulge spesso ai luoghi comuni. E se è vero che l’anticonformismo è spesso stato la bandiera della vita di Cristina, che a questo concetto ha anche dedicato anni fa un’autobiografia, oggi mi piace considerarla soltanto una delle più brave cuoche della scena italiana. Il fatto è che non c’è nulla di male a considerare Cristina un po’ punk e certamente irregolare. Il peccato è che questa lettura un po’ frivola ha spesso oscurato la sua cucina così interessante e cangiante, che ha il suo teatro nel cuore della Roma più ruspante, Trastevere, ma è mille miglia lontana da certe approssimazioni tipicamente capitoline, in un luogo superturistico, poi.



Cristina è figlia di molti mondi. Pugliese di Cerignola (è nata Vitulli), americanizzata nella visione e nel cognome da un primo matrimonio, laureata in Giurisprudenza e con un passato d graphic designer, ha poi deciso di cambiare vita (per sua e nostra fortuna) e ha affrontato la cucina con la dedizione di chi sa di essere in ritardo rispetto a un lavoro che forma e brucia presto. Second Life e seconda laurea in Culinary Arts negli States e poi molte esperienze oltreoceano. Poi, attorno alla metà del primo decennio del nuovo millennio, il ritorno in Italia e l’arrivo a Roma, dapprima dai bravi fratelli Troiani del Convivio e poi in proprio, al Glass Hostaria, con il secondo marito Fabio Spada.



Cristina non ci mise molto a farsi notare e sì, per i capelli, per il suo essere donna in un mondo allora ancora più maschilista di oggi, che relegava l’altra metà del cielo gastronomico a ruoli da caratterista col mattarello in mano. La stella arrivò nel 2010 e non se n’è più andata e Cristina è stata ormai adottata da Roma e porta volentieri la bandiera gastronomica di una città che ha un maledetto bisogno di andare oltre gli stereotipi dei pranzi schizzacravatta. Se qualche anno fa, quando avevo visitato Glass Hostaria per la prima volta, la Bowerman mi era sembrata pur assai talentuosa un po’ ansiosa di quella propensione a mostrare e dimostrare qualcosa tipica di chi ha dovuto scalare montagne mentre gli altri percorrevano autostrade, oggi il suo talento mi appare amministrato con serena consapevolezza e quella grinta, quella quasi rabbia, pare forse non placata ma certo ben stirata.



La sua cucina ne esce quindi più compiuta, più attenta, il benessere e magari la felicità del cliente appare prioritaria. E di quanti chef si può davvero dire altrettanto? La mia cena di poche settimane fa è stata una playlist di gioie, a partire dai benvenuti e dagli snack, tra i quali ho adorato un piccolo maritozzo salato. Ma era solo l’inizio. Sono arrivati dei rosseggianti Ravioli alla barbabietola con tartare di filetto di manzo, caviale oscietra e maionese alla crème frâiche, poi un Sushi trasteverino con astice e tartufo, quindi un Carciofo perfetto nella sua assolutezza, di cui mi sono innamorato. Ancora: Capellini di venere con farina di grano arso e piccione, un magnifico doppio servizio di piccione, un Raviolo liquido di Parmigiano Reggiano sessanta mesi al tartufo. Per concludere due dolci assai differenti: un sontuoso Millefoglie di mela caramellata e un più ardito trompe-l’oeil a simulare una pannocchia (ma è una crema cotta al frutto della passione) con gelato al pop corn. La sala è gestita dal bravo e ironico Riccardo Nocera, aiutato da Vanessa Croce, tutto fila liscio in quella giusta via di mezzo tra l’esagerata saccenza e la freddezza didascalica che sappiamo tutti essere entrambi poco grati a chi vuol star bene. Qui no, si esce sorridenti. In cucina con Cristina Edoardo Fortunato, Davide Grieco e una brigata ben affiatata.



Due menu degustazione, il Glass e il Vegetariano, a 130 ero vini esclusi, oltre che lo stagionale Tartufo a 240. Poi una carta molto stringata, a misura di un pensiero culinario che non ha bisogno di sbrodolature. Carta dei vini ben costruita e presentata, zeppa di referenze insolite o irregolari. Come Cristina, ma senza che diventai un’etichetta. Glass Hostaria, vicolo del Cinque, 58, Roma. Tel. 0658335903. Sito web www.glasshostaria.it. Chiuso tutto il lunedì e il martedì, aperto a pranzo solo sabato e domenica

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