Patto di stabilità si o no? Al momento i dubbi del governo italiano sono tanti e non sembrerebbe esattamente imminente la firma del nostro Paese alla riforma dell’accordo riguardante il controllo delle rispettive politiche di bilancio pubbliche con lo scopo di mantenere fermi i requisiti di adesione all’Unione economica e monetaria dell’Eurozona. Su questo tema si è discusso molto all’ultimo Consiglio europeo tenutosi a Bruxelles tra ieri e oggi, ma le posizioni sono ancora lontane. Giorgia Meloni non intende arretrare di un centimetro rispetto rispetto alle richieste avanzate recentemente dall’esecutivo.
Nel punto stampa odierno al termine della riunione dei capi di Stato e di governo dell’Ue il presidente del Consiglio ribadisce che siamo davanti una “trattativa molto complessa, molto tecnica e secondo me bisogna davvero tenere aperte tutte le strade fin quando non si capisce qual è il punto di caduta migliore che si può ottenere. Questo è il modo in cui la sto gestendo“. Si tratta di un tema molto delicato “che ci impegna per diversi anni, è importante che gestiamo questa trattativa nel migliore dei modi possibili“. Meloni preferisce non scendere troppo nel dettaglio perché è un equilibrio che si tiene insieme. Tuttavia “ci sono almeno tre punti che sono oggetto di discussione e creano un equilibrio diverso. Alla fine va valutato l’equilibrio, per cui io non sono dell’idea che il modo migliore di fare questa trattativa sia dire, voglio ottenere questo e poi vederlo annullato in un altro punto“.
Cosa non torna nelle modifiche al Patto
Della stessa idea è il vicepremier Matteo Salvini: “Se ci saranno le condizioni, il governo italiano firmerà. Se sarà una trappola, no. Però non sono io al tavolo e quindi ho piena fiducia sia in Giorgia Meloni che in Giancarlo Giorgetti“. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ritiene “incredibile che, dopo una pandemia e con due guerre in corso, parlare di tagli, austerity, taglio del debito, chiusura di aziende, tagli alla scuola e alla sanità. Io mi auguro che i 27 Paesi trovino il modo di crescere. Io cambiarei l’ordine: da ‘Patto di Stabilità e Crescità a ‘Patto di Crescita e Stabilità’“. Nella nuova versione del Patto proposta dalla Commissione Ue, gli Stati che hanno un rapporto tra debito pubblico e Pil superiore al 90%, come l’Italia, dovranno ridurlo dell’1% all’anno. Per il nostro Paese, il nodo più complicato riguarda però le spese annuali, ossia il deficit.
E in effetti la critica maggiore del governo viene rivolta al punto secondo il quale i Paesi indebitati oltre il 60% dovranno non solo rispettare il limite del 3% del deficit, ma mettere da parte nel corso dei loro piani un “tesoretto” di salvaguardia, una sorta di salvadanaio da rompere in caso di crisi improvvise. Si parte dall’1% del Pil per i meno indebitati, per arrivare all’1,5% per gli Stati come l’Italia. Per riempire questo salvadanaio, bisognerà fare tagli annuali dello 0,3% se il piano è di 4 anni, e dello 0,2% in caso di 7 anni. Una soluzione che ha fatto storcere il naso anche ai più convinti e ferventi europeisti, come Mario Monti, che hanno sollecitato la premier a prendere eventualmente in considerazione il veto nei confronti del nuovo accordo. Per far rispettare il percorso di spesa concordato, la Commissione potrà avviare misure disciplinari, che potrebbero finire in sanzioni, contro un governo che superi la sua spesa di un certo importo in un dato anno, o di un certo importo cumulativamente nei quattro anni. Le multe saranno semestrali e pari allo 0,05% del Pil (per l’Italia, circa 1 miliardo di euro). Senza poi dimenticare tutta la vicenda relativa al Mes.
La ricetta di Giorgetti
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, parlando a margine della festa di Atreju, ha confermato che nelle trattative per il nuovo patto di stabilità “l’Italia valuterà con tutti i mezzi che ha a disposizione per fare gli interessi nazionali” e “metteremo la firma se sarà nell’interesse del Paese“. Sicuramente sono stati fatti passi in avanti nelle trattative. “Siamo arrivati alla soluzione? Probabilmente no, ci sono tanti aspetti da chiarire. Per il fatto che duri 10-15-20 anni ci si sono da valutare tante cose, quindi c’è da aspettare ancora un pò…“. L’ex ministro dello Sviluppo economico non vede spiragli per una soluzione per la prossima settimana: “Non ho niente contro le videoconferenze ma che io vada a chiudere un accordo che condiziona l’Italia per i prossimi vent’anni in videoconferenza anche no, grazie. E quindi forse un Ecofin in presenza e di persona potrebbe essere magari più opportuno“.
Un elemento è certo: “Ci giochiamo tutta la partita con coraggio ma anche con intelligenza e quindi gli inviti, non troppo disinteressati a fare i matti, secondo me devono essere valutati come tali – prosegue Giorgetti -. C’è un negoziato tra noi, i francesi che sono più o meno con la nostra posizione, ma andiamo contro la maggior parte dei paesi guidati dalla Germania, che invece si ispirano a un criterio di frugalità“. Questa situazione“è pure peggiorata dopo la sentenza della corte Costituzionale tedesca“. Il ministro si è concesso inoltre anche una riflessione sulle festività natalizie: in Europa “non hanno riserve di tipo religioso perché mi hanno costretto a lavorare anche l’Immacolata concezione e a me ha dato particolarmente fastidio“.