“Chiamateci senatrici”. In 76 scrivono a La Russa

"Chiamateci senatrici". In 76 scrivono a La Russa

Un appello rivolto al presidente del Senato, Ignazio La Russa, affinché in Aula e nelle Commissioni sia “sempre garantito il rispetto del linguaggio di genere” e sia “riconosciuto il diritto di ogni senatrice ad essere chiamata” in quel modo e non “senatore“. Sulla scrivania della seconda carica dello Stato è arrivata una lettera sottoscritta da ben 76 eletti a palazzo Madama con la suddetta istanza promossa in primis da Aurora Floridia di Avs. La missima, secondo quanto testimoniato dalla stessa senatrice, è scaturita da un episodio capitatole la settimana scorsa e ritenuto addirittura meritorio di una siffatta richiesta ai vertici delle istituzioni.

In commissione Esteri ho più volte chiesto di essere chiamata senatrice, ma la presidente ha ignorato la mia richiesta“, ha affermato Floridia. Tale rifiuto è ritenuto dai firmatari – i gruppi Pd, M5S, Avs e singole firme tra Iv, Az e Aut – “sgradevole e fuori tempo“. Per la verità, la questione è annosa: il titolo di senatore riguarda infatti la carica in sé, ma secondo gli alfieri del linguaggio inclusivo a tutti i costi dovrebbe essere declinato in base al genere di chi la ricopre. Sul tema si sono interrogati anche esperti e linguisti e già in passato da sinistra erano arrivate richieste affinché si applicasse la parità di genere anche al linguaggio istituzionale.

Nel corso della seduta della Terza Commissione, la presidente, Stefania Craxi, mi ha ripetutamente chiamata ‘senatore’ e non ‘senatrice’, nonostante io abbia fatto chiaramente presente che in quanto donna volevo essere chiamata al femminile. Ciò non è accaduto solo a me, ma anche a molte altre colleghe, in varie occasioni“, ha lamentato Aurora Floridia. E ancora: “Non è una questione solamente formale, perché la lingua che usiamo veicola non solo significati ma anche valori e giudizi culturali che spesso possono rafforzare gli stereotipi. Il rifiuto da parte di figure istituzionali, come i presidenti di Commissione, di usare la desinenza femminile, specie se richiesto esplicitamente dall’interessata, risulta essere, oltre che sgradevole, del tutto fuori dal tempo“.

Nella lettera si legge anche: “Da oltre 10 anni l’Accademia della Crusca ribadisce l’opportunità di usare il genere grammaticale femminile per indicare ruoli istituzionali, la ministra, la presidente, l’assessora, la senatrice, la deputata ecc. La decisione o il rifiuto di usare i nomina agentis declinati al femminile rappresenta una scelta individuale che ha delle ricadute potenzialmente non indifferenti sulla progressione dell’emancipazione femminile nella nostra società“. Secondo i 76 firmatari dell’istanza inoltrata a La Russa, l’utilizzo del linguaggio di genere sarebbe “un alleato irrinunciabile nella battaglia per l’eliminazione della violenza contro le donne e sarebbe un vero peccato se il Senato della Repubblica rimanesse arretrato in posizioni del tutto anacronistiche“.

Chiamata in causa da Floridia per quella sua presunta inottemperanza, la presidente della Commissione Esteri del Senato, Stefania Craxi ha replicato a distanza alla collega, motivando le proprie ragioni. “Ci sono degli incarichi istituzionali che si chiamano in un certo modo a prescindere dal genere delle persone che li rivestono. E io mi attengo a questo“, ha affermato Craxi, rispondendo ai giornalisti che le chiedevano conto della lettera sul linguaggio inclusivo al Senato. “Piuttosto – ha rilanciato l’esponente forzista – mi preoccuperei del fatto che le donne continuano a percepire almeno 7mila euro in meno all’anno rispetto agli uomini. Ecco, direi di concentrarci su battaglie decisamente pià importanti come questa“.

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