Un sistema collaudato e molto semplice, quello che ha consentito all’ex ciclista Lance Armstrong di correre e vincere sulle strade di tutto il mondo senza mai incappare in una positività nonostante i numerosissimi controlli antidoping a cui è stato sottoposto nel corso della sua lunga carriera.
A rivelare il motivo per cui è riuscito a farla franca così a lungo, mettendo le mani tra l’altro su ben sette Tour de France vinti consecutivamente a cavallo tra gli anni 1999 e 2005, tutti revocati a seguito della squalifica a vita arrivata nel 2012, è lo stesso ex atleta texano. Ospite del podcast “Club Random”, Lance Armstrong ha raccontato ai microfoni di Bill Baher il modo in cui ha eluso tutti i controlli subiti negli anni di professionismo, senza risultare mai positivo ai numerosi test antidoping a cui è stato sottoposto
“Si trattava di ingannare il sistema”, ha raccontato l’ex corridore della US Postal Service.“L’ho sempre detto e posso dirlo ancora: sono stato testato come minimo 500 volte e non ho mai fallito un test antidoping”, ha aggiunto, “non è una bugia, visto che non c’era modo di evitarli. Questa è la verità”. “Quando facevo la pipì e poi questa veniva sottoposta ad analisi, risultava tutto nella norma. La verità è che alcune di queste sostanze che utilizzavo, in particolar modo quella che era la più benefica, avevano una durata di quattro ore“, ha rivelato l’ex ciclista texano.
Impossibile quindi, almeno per quanto concerne la qualità degli specifici esami che venivano effettuati all’epoca, rilevare l’eritropoietina aldilà delle quattro ore indicate dal 52enne. Cosa che invece non accade, ad esempio per il thc contenuto nei cannabinoidi, il quale viene smaltito in tempi decisamente più lunghi. “Potresti fumare uno spinello e dopo due settimane risultare ancora positivo, dal momento che il tempo di smaltimento è molto più lungo”, precisa ancora l’ex atleta statunitense, “ma ad esempio l’EPO, che cambiò tutti gli sport di resistenza, ha una vita media di quattro ore e lascia il corpo rapidamente”.
Quando venivano effettuati i controlli antidoping, quindi, era ormai troppo tardi per rilevare tracce residue di eritropoietina, la sostanza che più di tutte consentiva al texano di avere una marcia in più per far mangiare la polvere agli avversari di turno, specie sulle strade della “Grande Boucle”. “Usavo un farmaco che non era rilevabile e che era tremendamente benefico per le prestazioni e per il recupero”, puntualizza Armstrong durante l’intervista, “ci avevano fatto credere che preso sotto la cura di un medico era sicuro, ma è una cosa che non condivido”. “Sono errori miei. Sono qui per dire che mi dispiace. È tutta colpa mia. Ho trascorso il resto della mia vita cercando di riconquistare la fiducia delle persone”, conclude l’ex ciclista.