Hanno rischiato ben più che un processo a piede libero Luca Casarini e gli altri indagati dell’inchiesta della Procura di Ragusa sull’attività di Mediterranea, la ong fondata dall’ex antagonista e dall’ex assessore veneziano (in quota Verdi) Beppe Caccia. A conclusione delle indagini che hanno portato alla richiesta di rinvio a giudizio per favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina nei confronti di Casarini e degli altri indagati, le «fiamme gialle» hanno indicato esplicitamente la possibilità che nei confronti del gruppo dirigente di Mediterranea venissero emanate «misure cautelari personali». Alla fine la magistratura del capoluogo ibleo ha deciso che gli arresti fossero superflui. Ma le argomentazioni della Gdf danno bene il senso della gravità degli elementi raccolti a carico di Casarini & compagni, a partire dall’elemento più marcato: l’inclinazione a delinquere, con la possibilità concreta che – se lasciati in circolazione – i capi di Mediterranea avrebbero potuto commettere di nuovo altri reati simili.
A poter chiedere mandati di cattura è unicamente la magistratura, e nel loro rapporto informativo gli investigatori della Finanza lasciano ovviamente la decisione ai pm Fabio D’Anna e Santo Fornasier. Ma fin dalla seconda riga, con l’intestazione dell’informativa, il concetto è chiaro: «Esito indagini. Richiesta misure cautelari».
Quali siano le misure necessarie lo si capisce bene 266 pagine dopo: pagine che gli autori del rapporto dedicano a ricostruire nel dettaglio le attività della ong, la sua trasformazione – nelle mani del duo Caccia-Casarin – in una macchina da soldi, pronta a farsi pagare per togliere dall’imbarazzo navi commerciali costrette a imbarcare profughi. Sono i dettagli che da giorni sono diventati noti, compresi quelli sui rapporti con la Chiesa cattolica e sui suoi finanziamenti a Mediterranea. Davanti a quanto sta emergendo, la Conferenza episcopale continua a difendere la ong e parla di «presunte» accuse a carico di Casarini.
Per la Gdf, invece, gli elementi ci sono tutti. «Alla luce degli elementi raccolti appaiono emergere tutte le condizioni riferibili ad una potenziale reiterazione dei comportamenti antigiuridici precedentemente posti in essere dagli indagati nonché dalla sussistenza di una indole volta a violare il corpus normativo nazionale e internazionale acclarato da numerosi precedenti penali e di polizia». Parole pesanti, come si vede. Tali da rendere poco più che una clausola di stile la frase successiva: «pertanto si rimanda alle autonome valutazioni delle Signori Loro circa l’applicazione di idonee misure cautelari personali in capo a Caccia Giuseppe, Caraini Luca, Metz Alessandro e Marrone Pietro».
Insieme alle misure cautelari contro il quartetto la Finanza suggerisce il sequestro della Mar Jonio, la nave usata per trasbordare i profughi, e dei 125mila euro incassati dalla Maersk, il colosso danese dei trasporti marittimi, per liberare la sua nave Etienne dai 27 profughi. Il sequestro della nave viene disposto, invece Casarini e gli altri indagati restano a piede libero.