Pare proprio che l’America sia lontana, dall’altra parte della luna, come cantava Dalla. A meno di 24 ore dalla riunione in cui la Federal Reserve ha annunciato l’intenzione di smantellare l’arsenale anti-inflazione, la Bce si muove in ostinata direzione contraria rispetto alla consorella d’oltreoceano. Non abbiamo discusso di tagli: la voce un tono sotto causa recente infezione da Covid, Christine Lagarde ha ieri chiarito subito che il nemico, l’elevato livello dei prezzi, è ancora alle porte. Le barricate restano, i cavalli di Frisia non vengono rimossi, poiché i pericoli arrivano dai salari, che non stanno diminuendo, e visto che l’inflazione, pur essendo diminuita negli ultimi mesi, tornerà probabilmente a registrare un temporaneo incremento nel breve periodo. Parole da Grinch in gonnella che dà fuoco ai regali sotto l’albero di Natale. I mercati ascoltano, ma non cambiano idea: nel 2024 l’Eurotower imbraccerà la scure per tagliare il costo del denaro (rimasto ieri invariato al 4,5%) di 150 punti base. La sostanza è che, questa volta, Madame Bce stia bluffando. Altrimenti non si spiegherebbero la ritirata dei rendimenti del Btp al 3,74%, minimo da gennaio, l’alleggerirsi dello spread con il Bund a quota 167 e, soprattutto, l’affondare delle banche a Piazza Affari (-3% l’indice di settore, con una picchiata del 7% per Mps), ovvero dei titoli che più hanno beneficiato in questi mesi della postura rigida mantenuta dalla banca centrale.
Eppure, a patto di non collocare l’allentamento nella seconda metà del prossimo anno, l’idea di una politica monetaria più lasca resta una scommessa che si poggia su due piani inclinati, ossia sulla convinzione che il carovita sia ormai un fenomeno debellato e sull’effetto imitativo che dovrebbe indurre la Bce a ricalcare le mosse della Fed. Dalle dichiarazioni di ieri della Lagarde, con un’accentuazione dei toni da falco non rintracciabile negli interventi più recenti, emerge invece che a Francoforte il cambio di rotta non sarà automatico.
Ci siamo chiesti se dobbiamo abbassare la guardia. No, non dobbiamo assolutamente, ha detto l’ex numero uno del Fmi. Ricordando poi come i componenti del direttivo siano dell’idea che tra il rialzo e il taglio (dei tassi, ndr) ci sia un intero plateau di mantenimento, perché non si passa da un solido a un gas senza passare per la fase liquida. Fuor di metafora: prima di agire, la Bce intende avere la certezza di non dover fare i conti con un ritorno di fiamma dell’inflazione. I previsori dell’istituto collocano il carovita al 5,4% nel 2023, al 2,7% nel 2024 e al 2,1% nel 2025. Due anni abbondanti, insomma, prima di centrare il target di riferimento in un contesto di crescita asfittica quest’anno (+0,6%) e il prossimo (+0,8%) e di parziale ripresa nel 2025 (+1,5%).
Un altro segnale hawkish che i mercati non sembrano aver colto è la decisione, condivisa da una maggioranza molto, molto ampia, di ridurre a partire dal giugno prossimo il portafoglio del Pepp di 7,5 miliardi di euro al mese e di terminare i reinvestimenti già alla fine del 2024. Per l’Italia, che beneficia del piano di acquisti anti-pandemico grazie ai quasi 300 miliardi di euro di nostri titoli di Stato in pancia alla Bce, le ripercussioni potrebbero essere negative. Il Pepp è il solo scudo anti-spread rimasto in piedi.