Pensioni miraggio per i giovani, ma già oggi divorano il Pil

Pensioni miraggio per i giovani, ma già oggi divorano il Pil

I giovani italiani dovranno attendere i 71 anni d’età per andare in pensione. È quanto certifica il rapporto Pensions at a Glance dell’Ocse. È l’età più alta tra i Paesi più sviluppati dopo quella stimata per la Danimarca (74 anni). Il collegamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita, osserva l’organizzazione con sede a Parigi, è conseguenza di scelte che negli anni hanno favorito il pensionamento anticipato rispetto all’età di vecchiaia, «spesso senza penalità».

Una situazione che determina un eccesso di spesa pensionistica: l’Italia, stima l’Ocse, arriverà nel 2025 ad avere una spesa per le pensione del 16,2% del Pil, al top dell’area (9,3% in media). Un valore destinato a salire fino al 17,9% nel 2035 per poi ripiegare.

Occorre anche sottolineare che il peso degli oneri contributivi sulla retribuzione, il più alto nell’area Ocse (33% contro la media del 18,2%), determinerà assegni più sostanziosi rispetto agli anziani degli altri Paesi. Per chi comincia a lavorare intorno ai 22 anni oggi e si ritirerà a 71 anni si prevede si prevede un importo della pensione rispetto allo stipendio al momento del ritiro di circa l’83% a fronte del 61% medio dell’Ocse. Va anche detto che questo carico (parte consistente del cuneo fiscale e contributivo il cui taglio è stato confermato dalla manovra 2024 per i redditi fino a 35mila euro) rischia di «danneggiare la competitività dell’economia e una riduzione dell’occupazione».

Al momento il reddito medio delle persone di età superiore ai 65 anni in Italia «è leggermente superiore a quella della popolazione totale» (al 103%) mentre è in media inferiore del 12% rispetto alla popolazione complessiva nell’area Ocse (all’88%). La povertà relativa tra gli over 65 in Italia è al 10% mentre è in media al 14% nell’area.

Il tasso di occupazione nella fascia tra i 60 e i 64 anni in Italia pur essendo cresciuto in modo rilevante negli ultimi anni è al 41% a fronte del 54% medio.

Secondo il rapporto, con l’invecchiamento della popolazione mondiale sta diventando «sempre più necessario promuovere» l’impiego dei lavoratori più anziani per far fronte a una carenza di manodopera che ha raggiunto livelli da record nel 2022 e resta elevata anche nel 2023, nonostante il rallentamento dell’economia globale. Un trend fotografato ieri dall’Istat. Il record degli occupati nel terzo trimestre a quota 23,6 milioni è stato trainato dagli over 50 tra i quali il numero di persone con un impiego è cresciuto di circa 4 milioni di unità rispetto al terzo trimestre 2008, l’ultimo prima della grande crisi finanziaria del debito.

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